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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

martedì 19 maggio 2020

La Valle dei Templi (Agrigento)

Sono un vero appassionato di archeologia e, quando posso,  non tralascio di visitare antiche testimonianze. Un posto magnifico e spettacolare, ricco di fascino e suggestioni è sicuramente la Valle dei Templi di Agrigento; sito UNESCO dal 2000 posto sulla costa meridionale della Sicilia.
Provenendo dalla strada costiera l'approccio visivo è notevole: alzando lo sguardo su un costone roccioso, si stagliano contro il cielo azzurro le sagome degli antichi templi greci. Poco oltre la Agrigento  medievale e moderna che si è sviluppata in maniera disordinata su un'altra altura vicina.
Questi territori sono stati abitati sin dalla preistoria. Le prime tracce della presenza greca risalgono al VII Sec. a.C. Attorno al 580 un gruppo di Greci provenienti da Rodi e Gela approdarono su queste coste e fondarono Akragas, una delle ultime colonie in terra siciliana. Di fronte alle coste africane, la posizione era strategica nel contrasto a Cartagine. Falaride fu il primo tiranno della colonia e tra il 570 e il 555 a.C. fece erigere la cinta muraria e pianificò il futuro sviluppo della città. Nel 480 a.C., con la vittoria dei Greci su Cartagine a Himera, Akragas si espanse addirittura fino al Tirreno sotto il tiranno Terone; questa fu l'età più florida per la colonia. Sulla collina meridionale furono edificati numerosi templi e la popolazione raggiunse le 200.000 unità. Il poeta greco Pindaro nel visitarla la descrisse come "Città più bella fra quante son albergo per gli uomini". Nel 406 a.C. le difese cedettero sotto l'attacco di Cartagine che governò la colonia fino al 310 a.C. quando il corinzio Timoleonte la riconquistò riportandola sotto l'influenza greca. Nel 210 a.C. arrivarono i Romani che cambiarono il nome della città in Agrigentum. Successivamente, nel VII Sec. si insediarono gli Arabi, Agrigento diventò capitale dei Berberi in Trinacria col nome di Girgenti. L'arrivo dei Normanni nel XI Sec. diede impulso ai traffici marittimi e commerciali con la sponda opposta del Mediterraneo. In questo contesto la Valle dei Templi è stata interessata da numerose vicissitudini che, comunque, hanno lasciato intatto il suo fascino. 
In passato ero stato già tre volte in questo luogo e ogni volta la magia è la stessa. Occorre comunque fare subito chiarezza: non si tratta di una valle ma una cresta e i templi si possono vedere chiaramente dal basso ma anche dalle alture circostanti (magnifica è la vista da alcune vie di Agrigento con la fila dei templi il cui colore giallo ocra contrasta con il blu cobalto del Mediterraneo.
Ci sono due accessi al sito entrambi con parcheggio e ben segnalati; scelgo per il parcheggio più piccolo, il primo segnalato che si incontra provenendo da Enna o da oriente. Con la macchina mi inerpico per un paio di tornanti e, in compagnia di Elena, giungo all'area di sosta tra gli ulivi e dotata di servizi. Poco oltre qualche simpatico venditore di souvenir, alcune guide che si offrono di accompagnarci ma di cui faremo a meno vista la pregressa conoscenza di quello che andremo a vedere. In biglietteria ci chiedono se abbiamo intenzione di includere nella nostro tour anche le visite al Giardino della Kolymbethra e al Museo Archeologico; optiamo per la Valle e per il Giardino e lasceremo la visita  al museo per un'altra occasione.
Ritengo utile iniziare la visita da questo punto in quanto il percorso si svilupperà verso occidente in coerenza con l'orientamento dei templi verso il sole nascente. I monumenti sopravvissuti alla storia e ai saccheggi risalgono principalmente al V Sec a.C. e sono stati edificati in tufo arenario conchiglifero poroso di colore giallo ocra. 
Saliamo un piccolo viottolo a gradini e siamo in vista del primo tempio. 
Il Tempio di Giunone Licinia è preceduto da un grande altare esterno per i sacrifici e fu costruito alla metà del V Sec. a.C. La sua pianta è classicamente periptera esastila con dimensioni allo stilobate di 38x17 m. 
Attualmente, delle 34 colonne originali (6 sul fronte e 13 sul fianco) ne restano 25. Il tempio fu incendiato dai Cartaginesi nel 406 a.C., restaurato dai Romani e danneggiato da un terremoto nel medioevo che distrusse i muri del naos.
Questo biglietto da visita è incantevole soprattutto nella considerazione che il meglio  deve ancora arrivare. All'incanto della scena archeologica contribuisce l'intensità dei colori e profumi tipici della macchia mediterranea con l'aggiunta di ulivi, carrubi e mandorli. 
Seguendo la linea delle fortificazioni greche, ci lasciamo alle spalle il primo tempio attraversando una zona caratterizzata dalla presenza di celle sepolcrali cristiane ad arcosolio risalenti alla dominazione bizantina.
Tutto intorno i mandorli cominciano a fiorire nonostante la visita avviene nel mese di febbraio mentre il sole gioca a nascondino con le nuvole.
Il panorama si apre su tutti i lati, 
sulla sinistra il Mediterraneo, sulla destra il verde della vegetazione rigogliosa e di fronte a noi, in lontananza, la sagoma del monumento  più conosciuto della valle: il Tempio della Concordia
Il nome fu attribuito a seguito del ritrovamento, nelle sue vicinanze di un'iscrizione latina ma è probabile che fosse consacrato a Castore e Polluce. 
Opera perfetta dell'architettura dorica in ottimo stato di conservazione, e stato edificato pochi anni dopo quello di Giunone di cui ne ricalca armonia e dimensioni. La sua conservazione è dovuta alla trasformazione in chiesa avvenuta nel VI Sec. d.C. con la chiusura degli spazi tra le colonne che ne rafforzarono la struttura. Sulle mura della cella interna furono aperti archi a tutto sesto tuttora visibili.
Nel 1748 fu tolto al culto cristiano e restituito al suo aspetto originario. Di fronte al tempio giace letteralmente una grande scultura bronzea del polacco Igor Mitoraj che rappresenta l'Icaro caduto (2011) che ben si armonizza nel contesto del parco.
Che meraviglia. Queste immagini resteranno sempre presenti nella nostra memoria perché qui alberga il bello dell'ingegno umano in un contesto naturale di gran pregio.
Nelle immediate vicinanze ci imbattiamo nella necropoli paleocristiana attiva tra il III e il VI Sec. d.C. Si possono osservare circa 130 sepolture a cassa trapezoidale scavate nella roccia.
Continuiamo il percorso e dopo poco incontriamo sulla sinistra la Villa Aurea evidentemente di costruzione molto più recente; sede di un Antiquarium e della direzione archeologica, fu residenza del Capitano della Marina Inglese Sir Alexander Hardcastle, primo finanziatore degli scavi  negli anni '20 del secolo scorso.
Dopo una visita al rigoglioso giardino della villa
giungiamo al Tempio di Ercole.
Anch'esso periptero esastilo ma dalle dimensioni maggiori (67x25 m. allo stilobate) era sorretto da 38 colonne (15 sul fianco). Alcuni tratti architettonici come la limitata altezza delle colonne e la forma allungata, farebbero datare la sua costruzione attorno alla fine del VI Sec. a.C.
Probabilmente si tratta del tempio più antico del sito. Oggi possiamo ammirare solo otto colonne, di cui quattro sormontate da capitello dorico, rialzate nel 1924. Un moncone di colonna distaccata dalle altre potrebbe essere l'unica rimasta in piedi dalle origini.
Vicino al Tempio di Ercole ci imbattiamo in una vasta area di rovine ove intuiamo dalle dimensioni dei frammenti di colonne e capitelli che doveva trattarsi di una costruzione gigantesca;
si tratta del sito ove sorgeva il Tempio di Giove Olimpico. Nei progetti del tiranno Terone, doveva essere uno dei più grandi templi della civiltà greca; la sua costruzione iniziò dopo la vittoria su Cartagine ad Imera (480/470 a.C.) con manodopera dei prigionieri. Il tempio non fu ultimato; guerre, terremoti e l'esigenza di reperire materiali per la costruzione di Agrigento lo hanno ridotto a come lo vediamo oggi. L'edificio era del tipo pseudoperiptero con dimensioni da record (113x56 m.); sui lati corti c'erano sette semicolonne mentre su quelli lunghi erano 14 tutte unite da un muro continuo e intervallate da telamoni, colossali figure umane alte quasi otto metri realizzate in conci di pietra dalle funzioni decorative e di sostegno alla trabeazione del tempio. Uno di questi telamoni è stato ricomposto nel Museo Archeologico di Agrigento mentre un suo calco è sistemato coricato al centro della cella del tempio.
Nel medesimo museo è conservata una riproduzione in scala che ben raffigura l'aspetto dell'imponente tempio.
La base del monumento, i monconi delle colonne nelle cui scanalature potrebbe trovare posto comodamente un uomo,  sono uno spettacolo grandioso.
Ci allontaniamo dal tempio di Giove per dirigerci su un altro simbolo della Valle dei Templi: il Tempio dei Dioscuri.
Rimangono in piedi solo quattro colonne e, soprattutto se ammirate al calar della sera, sono ammantate di romanticismo e suggestioni intense. Il monumento aveva dimensioni e caratteristiche architettoniche simili ai primi due edifici visitati e fu costruito alla fine del V Sec. a.C.
Dalle residue tracce, ben visibili sulle colonne di questo monumento, si suppone che le pietre di tutti i templi fossero rivestite di intonaco bianco ricavato dalla polvere di marmo; immagino lo splendore abbacinante del complesso religioso quando era colpito dai raggi del gagliardo sole siciliano.
Questo tempio fu danneggiato gravemente dai Cartaginesi; restaurato in seguito, fu raso al suolo da uno dei terremoti frequenti in questo lembo di Sicilia. Nel 1832, con l'impiego di materiali lapidei provenienti da altri templi della zona, fu parzialmente ricomposto così come lo possiamo ammirare oggi.
Nei suoi pressi si sviluppa un complesso di resti riferibili al Santuario di Demetra e Kore (VI-V Sec. a.C.)
Seguendo le indicazioni, ci apprestiamo a visitare il Giardino della Kolymbethra le cui origini risalgono al V sec. a.C. 
Mostriamo alla biglietteria il biglietto e accediamo a questa meraviglia scendendo di quota in una depressione del terreno tra pareti di tufo e antiche essenze.
Lo storico Diodoro Siculo narra che nel 480, grazie all'ingente bottino di guerra conseguente alla già citata vittoria sui Cartaginesi a Imera,  il tiranno Terone commissionò all'architetto Feace la progettazione di un sistema idrico per approvvigionare Akragas; questo sistema prevedeva la raccolta di acque meteoriche ai piedi della città in un grande bacino dello Colimbetra. L'arida terra siciliana cambiò aspetto in breve diventando un autentico giardino. Nel I Sec. d.C. il bacino fu interrato e il sito trasformato in terreno agricolo. Nel XII Sec. vi si coltivava canna da zucchero e si cominciò a chiamare questa zona "giardino" (dal siciliano "jardinu") secondo l'uso locale derivante dalla cultura araba di sottolineare la presenza rigogliosa di agrumi. Negli ultimi lustri dello scorso secolo il  luogo cadde nell'oblio a causa della scomparsa dei vecchi contadini. Nel 1999 la Regione Sicilia ha affidato al FAI la gestione venticinquennale dell'area; sono stati così ripristinati i vecchi terrazzamenti e la vegetazione restituendo al pubblico una testimonianza storica e naturalistica di autentico pregio tanto che nel 2007 e nel 2009 il parco è entrato nella top ten del concorso "Il Parco più bello d'Italia".
La passeggiata è davvero piacevole.
Profumi e colori mi fanno pensare che il Paradiso esiste anche quaggiù. Sono state messe a dimora antiche varietà di agrumi oramai abbandonate.
Dagli alberelli pendono coloratissimi limoni, mandarini, arance, cedri, pompelmi, chinotti, bergamotti, limoncelli.
Ma non sono presenti solo agrumi; troviamo anche mandorli, pistacchi, ulivi, melograni, cotogni, kaki, fichi, peri, meli, fichidindia, tamerici, terebinti palme nane, mirti e addirittura banani.
Un vero trionfo della natura.
Risaliamo un declivio dalla parte opposta e superiamo la linea ferroviaria portandoci in breve al cospetto dell'ultimo tempio, isolato e meno noto dei suoi più celebri "fratelli"
Il Tempio di Vulcano (Efesto) o quello che ne rimane, sorge in splendido isolamento nella campagna agrigentina; la sua denominazione è solo convenzionale.
Probabilmente edificato attorno al 430 a.C. anch'esso con sei colonne sul lato breve e tredici su quello lungo, oggi presenta alcuni tratti del basamento e due colonne superstiti.
Termina qui la nostra visita. Per ritornare alla nostra auto ripercorriamo volentieri in senso opposto l'intero tragitto per godere ancora di tante meraviglie.
All'uscita chiediamo ad un venditore di souvenir di indicarci un posto dove poter pranzare; con una premura tutta siciliana, il commerciante ci indica un ristorantino non prima di essersi sincerato della sua apertura mediante una telefonata. In auto saliamo ad Agrigento ma sbagliamo e entriamo in un altro locale (la fame fa brutti scherzi) tuttavia non ce ne pentiamo. La sala vetrata del Re di Girgenti ha una vista mozzafiato sui templi che si stagliano netti sullo sfondo del mare scintillante. Ci accomodiamo e ordiniamo alcune pietanze a base di pesce;
notevole il cannolo di pesce spada in crosta di pistacchio. Dopo esserci riposati riprendiamo la strada per il rientro portandoci nei ricordi i colori, i profumi e le sensazioni che questa visita ci ha saputo regalare.
Un caro saluto.

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