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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

martedì 30 dicembre 2008

La famiglia aumenta

In un post di qualche tempo fa, ho presentato la mia squadra con la quale sono partito per questa avventura ma, strada facendo, altri due preziosi elementi si sono aggiunti al team completandolo in tutti gli aspetti.
Si tratta di Fabio e Oscar. Sono due persone agli opposti ma che si completano all'interno della squadra. Il primo estroverso, simpatico, pasticcione, casinista viene da Bari mentre il secondo, serio, puntuale, preciso e affidabile, arriva dalla magnifica Sardegna... ma entrambi hanno l'unica cosa che mi interessa davvero: un grande cuore.
Nella foto è ritratto Fabio durante la consegna di giocattoli che abbiamo acquistato per i bambini libanesi.
Benvenuti a bordo ragazzi!

domenica 28 dicembre 2008

Ashura

Chi, come me, si trova a percorrere quotidianamente le strade del Libano e segnatamente quelle che attraversano i luoghi sciiti, in questo periodo avrà notato un tripudio di inquietanti bandiere nere, striscioni sempre neri con scritte arabe, un maggiore afflusso nelle numerose moschee e molto movimento attorno alle husseinie (centri di aggregazione rigorosamente divisi tra uomini e donne). Niente di preoccupante, si tratta dei preparativi per la celebrazione della Ashura, una ricorrenza molto sentita dai Musulmani Sciiti che inizia domani in base al calendario lunare islamico e si protrae per dieci giorni.
Ashura significa letteralmente "il decimo" e fa riferimento al decimo giorno del mese di Muharram dell'anno 61 dell'Egira  (680 d.C.), giorno in cui avvenne la prima guerra intestina del mondo musulmano. 
Nel 632 d.C. a seguito della morte di Maometto, all'interno della comunità musulmana sorsero numerosi contrasti riguardo a chi dovesse prendere il suo posto come guida dei fedeli. La scelta cadde sul suocero del Profeta, Abu Bakr, sebbene alcuni musulmani ritenessero che il ruolo spettasse al cugino, nonchè genero di Maometto, Alì.
Al termine del 656, Alì divenne califfo (capo della comunità), ma fu sfidato da Mu'awiya, valoroso guerriero e governatore della Siria che voleva essere il leader della comunità musulmana.
Dopo cinque anni di comando, Alì fu assassinato e Mu'awiya divenne califfo. La cosa non incontrò il favore degli "Shi'at Alì" (seguaci di Alì da cui il nome Sciiti) che continuarono a sostenere che il ruolo spettasse ai discendenti del Profeta.
Mu'awiya raggiunse un accordo con il figlio maggiore di Alì, Hassan, in base al quale, questi si sarebbe ritirato dalla scena politica. Ciò nonostante gli "Shi'at Alì" continuarono a stringersi attorno al figlio minore di Alì, Hussein, che era, ovviamente, anche nipote di Maometto. Alla morte di Mu'awiya, nel 680 d.C., Yazid, figlio di Mu'awiya, per ottenere la guida della comunità chiese a Hussein obbedienza (bayha) che quest'ultimo, ovviamente, rifiutò.
L'amato nipote del Profeta Maometto, quindi, con la sua famiglia e un manipolo di 72 seguaci, partì dalla Mecca alla volta di Kufa con la speranza di raccogliere ulteriori consensi, ma, durante il tragitto, venne attaccato da Yazid nella desolata piana di Karbala (Iraq); accampatosi sulle rive dell'Eufrate, Hussein trovò l'esercito nemico a sbarrargli la via dell'acqua e venne vinto per la sete. Si narra che l'Imam preso dalla disperazione, uscì dall'accampamento con il figlio di sei mesi morente (Abdullah) in braccio per chiedere dell'acqua e umanità almeno per i bambini presenti ma quello che ricevette fu una freccia che uccise il figlio. Gli assediati capitolarono dopo dieci giorni e furono decapitati.
La moschea dedicata all'Imam Hussein a Karbala, città santa dove il nipote di Maometto fu decapitato (Karim Sahib/Ansa)
E' a questo evento che si fa risalire la scissione fra sunniti e sciiti. Questi ultimi rivendicavano il fatto che dovesse essere Hussein, figlio di Alì, genero di Maometto e primo Iman degli sciiti a succedere al Profeta nella lotta per la leadership del neonato Islam e non Yazid.
La drammaticità e il significato di questi eventi hanno fatto si che la comunità sciita, per amore verso la Ahl-al-Bayt, la famiglia del Profeta Maometto, abbia sempre ricordato i primi dieci giorni di Moharram, ed il decimo in particolare, con riunioni e manifestazioni di cordoglio che hanno contribuito nei secoli a tener vivo il dolore per questo evento e a tramandare l'insegnamento dell'amore assoluto e della fede sincera per Dio e le virtù della pazienza e della resistenza di fronte agli oppressori anche ponendo la propria vita come estremo sacrificio. 
Da allora per il giorno dell'Ashura è dovere di ogni Shiita commemorare il triste fato. Nella condivisione del dolore la sofferenza assume le diverse sembianze dell'auto-flagellazione cadenzato dal ritmico battito delle mani sul petto o con le spade che vengono battute sulla fronte provocando profonde ferite. Queste pratiche sono diventate, comunque, sempre meno comuni per il forte processo di modernizzazione che non risparmia neanche il mondo islamico. Due anni fa ero ancora in Libano nello stesso periodo e non mi è capitato di imbattermi in queste forme estreme di dolore ma si capisce che la ricorrenza è molto sentita e i locali, così sempre aperti e disponibili, per un breve periodo, si chiudono nel loro dolore e nel desiderio di isolarsi. Alcuni Iman, particolarmente ispirati, nei dieci giorni di celebrazione, raccontano episodi commoventi di queste vicende e i fedeli escono dalle husseinie sempre molto provati e commossi. Abbiamo molto rispetto per questo e pertanto le nostre prossime attività dovranno tenere conto di questo periodo particolare.
Alcune informazioni di questo post sono state tratte da un documento dell'Ambasciata Americana in Italia altre sono state raccolte sul posto; personalmente sono restato affascinato da questa storia ma non mi permetto, come mio costume, di esprimere nessun giudizio sulle vicende storiche.
Fedeli sciiti a Karbala con il ritratto dell'Imam Alì (Yannis Behrakis/Reuters)
Un caro saluto.

venerdì 19 dicembre 2008

Tiro

Di Tiro vi avevo già raccontato in un post precedente, ma il mio interesse per questa città nasce da molto lontano.
Quando in terza elementare ho iniziato a studiare storia, ricordo di essere rimasto affascinato dalle vicende dei Fenici. Come tutti sanno, questo popolo di navigatori e commercianti ha toccato tutte le coste del Mediterraneo spingendosi ben oltre le colonne d'Ercole. A bordo di agili e veloci imbarcazioni, i Fenici partivano dai porti di Tiro e Sidone affrontando il mare con pochi strumenti e tanto coraggio.
Tiro, la citta' sacra al dio Melkart doveva la sua ricchezza alle molte colonie, al commercio dei tessili purpurei e alle costruzioni navali. Fu costruita inizialmante sulla terraferma ed in seguito su una prospicente isola sotto il regno del re Hiram; infatti costui decise di ingrandire ed abbellire la citta' ma cio' attiro' la brama dei conquistatori tra cui il re babilonese Nabucondonosor ed Alessandro il Grande.
L'espansione di Tiro comincio' nell'814 a.C. con la fondazione di Cartagine in Africa settentrionale da parte di alcuni commercianti che, in seguito, fondarono molte altre colonie sparse sulle coste del Mediterraneo e dell'Atlantico
Nel 333 a.C. Alessandro il Grande decise di conquistare questa citta' strategica. Inizialmente gli abitanti della citta' accolsero Alessandro nella regione come governatore impedendogli tuttavia di entrare nella loro citta' sacra. Il condottiero allora assedià Tiro per sette mesi; ordinò la costruzione di un molo per raggiungere le mura della parte insulare alla quale diede l'assalto incendiandola, uccidendo 6.000 dei suoi abitanti e disperdendo gli altri.
Tiro, comunque, continuò, sotto i successori di Alessandro, a battere la propria moneta d'argento e recuperò la sua posizione culturale e commerciale.
Nella mia mente di bambino mi vedevo a bordo delle navi fenicie alla scoperta dell'ignoto; mai avrei pensato di visitare, con la stessa meraviglia, quei porti a distanza di quasi quarant'anni da quel primo approccio con la storia.
Tiro è a un'ora di auto da Beirut ed è una città caotica e disordinata tuttavia il lungomare (soprattutto quello che guarda a sud), i parchi archeologici ed il suo souk meritano di essere visitati.
Il lungomare dicevo... qui è possibile parcheggiare la macchina nei pressi di una grande moschea e con una passeggiata di 5 minuti,
raggiungere il sito archeologico di al-Minà; il biglietto di ingresso costa 2.50 euro e il primo colpo d’occhio è estremamente suggestivo con resti di epoca romana e bizantina che digradano verso il mare fino all’antichissimo porto egizio.
Situato nella parte anticamente insulare della città, il sito presenta subito una scenografica strada colonnata
che termina al già citato porto egiziano a sud;
sulla destra è possibile notare una singolare arena rettangolare mentre sulla sinistra insistono i ruderi di un ampio complesso termale romano.
Queste terme coprono una lunghezza di 70 metri per 39 di larghezza ed erano il luogo d'incontro preferito dagli atleti. Erano costituite da larghe sale decorate ed attrezzate di piscine, acqua calda e fredda e saune. Oggi rimangono solo i resti delle grandi vasche che servivano a raccogliere l'acqua richiesta per azionare questo impressionante sistema.
Sull'ultima colonna di destra della strada principale (la prima di sinistra per chi viene dal mare), c'è incisa una croce grezza; un locale venditore di patacche archeologiche mi dice che è stata tracciata dai primi Crociati sbarcati a Tiro.
La visita del sito, a seconda dell’interesse può richiedere fino a due ore.
Nell’area archeologica, nei pressi di un imponente albero secolare,
c’è una postazione delle Forze Armate Libanesi (forse alloggi) non immediatamente riconoscibile se non per una garitta (non presidiata) con le insegne del Libano; è consigliabile non avvicinarsi. 
Al termine della visita è piacevole una rilassante passeggiata sul lungomare
ed una visita ad uno dei locali ivi presenti che offrono piatti libanesi con un ottimo rapporto qualità/prezzo. Mi sento di consigliarvi il Salinas il cui simpatico proprietario si fa in quattro per servire il meglio della cucina libanese.
Terminato il pranzo è d'obbligo una visita all'altro sito archeologico che si trova sulla terraferma e comunemente chiamato "ippodromo". Si tratta dell'area di al-Bass dove è possibile ammirare un'ampia necropoli risalente alle epoche romane e bizantine tra i secoli II e VI d. C.
un arco trionfale (II sec.) costruito dagli antichi abitanti di Tiro in onore del loro imperatore Settimio Severo
e l'immenso ippodromo romano costruito nel II sec. a. C. il più grande e meglio conservato al mondo con i suoi 480 metri di lunghezza ed i suoi 160 metri di larghezza. Poteva accogliere fino a 30.000 spettatori che si radunavano per assistere alla corsa dei carri.
Tra l'altro in questo ippodromo, dopo quattro anni, è ripreso un gran bel festival estivo (segno evidente che in queste terre sta tornando lentamente la normalità grazie anche agli Italiani della missione ONU di UNIFIL). Una dei numerosi ospiti di questa manifestazione è stata la beniamina nazionale Soumaya Baalbaky, cantante libanese di grande successo nel mondo arabo che si affaccia sul Mediterraneo.
Termina qui la nostra visita ad una città ricca di storia e di contrasti con un mare bellissimo e gente cordiale ed ospitale.

giovedì 11 dicembre 2008

In giro per Beirut

Oggi avevo da sbrigare alcune pratiche a Beirut presso la nostra Ambasciata, per cui parto di buon mattino per farmi gli oltre 100 km di strada per raggiungerla. Arrivato in congruo anticipo rispetto all'appuntamento, mi concedo un giro nel caotico traffico della capitale. Il tempo è tornato splendido, non ho fretta e quindi mi immergo con il giusto spirito nel casino variopinto e strombazzante del centro. E' sorprendente vedere la totale mancanza di regole nella guida ma nel contempo anche la tranquillità con cui la gente sopporta cose che in Italia avrebbero altre conseguenze. L'aspetto singolare è che non ho visto un solo incidente tant'è che sono arrivato alla conclusione che il traffico scorre solo perchè nessuno rispetta le regole... se qualcuno si trovasse a Beirut pensando di guidare all'europea credo avrebbe una montagna di problemi. Ah... dimenticavo... l'esperienza di guida fatta a Bari (eh eh) mi ha aiutato molto a uscire indenne dall'allegro carosello di macchine.
E adesso vengo all'aspetto comico: in pieno centro, ero fermo ad un incrocio regolato (si fa per dire) da un vigile, la mia macchina ha una bandiera italiana in bella vista stampata sulla fiancata e il suddetto vigile ha bloccato il traffico in tutti i sensi e si è avvicinato a me con un sorriso sardonico. "Cosa avrò fatto mai?" ho pensato e lui mi chiede se avevo in macchina un CD di Bocelli da regalargli!!! Capite? Ha bloccato il traffico per un CD... poche ore dopo mia moglie, invece, avrebbe beccato una multa per divieto di sosta a Trieste... scherzi del destino.
Il Libano.... un paese meraviglioso!!

venerdì 28 novembre 2008

Si comincia...

Finalmente... con oggi il mio ufficio è pienamente operativo in Libano. Ho impiegato queste due settimane a "formare" il team composto da persone che non avevano mai lavorato insieme (o quasi).
Grandi chiacchierate, approfondimenti di problematiche professionali e personali, dichiarazioni di intenti, direttive e incontri ci hanno fatto diventare (almeno spero) un gruppo unito.
Del team fanno parte persone motivate ed entusiaste che spero manterranno questa carica fino al termine del nostro mandato.
Sax, che è l'unico con il quale avevo lavorato in passato, grande amico di vecchia data con cui ho condiviso momenti a volte difficili ma sempre esaltanti in precedenti esperienze e che hanno visto sorreggerci l'un l'altro.
Michelangelo, il Siciliano dagli occhi di ghiaccio, gentile e sempre disponibile.
Marco, l'extracomunitario (in quanto Svizzero), serio e buon conoscitore di lingue straniere.
Barbara, la nostra mascotte perchè è la più giovane del gruppo, dolce ma estremamente determinata.
Della squadra fanno parte anche due colleghi che erano già presenti qui in Libano (un Francese ed un Ghanese) ed infine due autoctoni: il mio amico Nasser che sarà il nostro mediatore culturale e Naji che sarà prezioso per le opere infrastrutturali in quanto architetto.
Fatta la squadra, adesso ci attendono sei mesi di lavoro che saranno intensi ma indimenticabili e che, ne sono sicuro, ci porteranno a formare una vera e propria famiglia.
Il nostro impegno sarà quello di promuovere, sostenere, finanziare e realizzare progetti in favore della popolazione locale così duramente colpita dalle recenti vicende belliche.
Il tempo ci saprà dire se avremo operato bene e impiegato saggiamente i fondi a nostra disposizione ma sono fiducioso che anche questa grande avventura sarà coronata da successo.
Buona fortuna ai miei colleghi e a tutti quelli che operano, in maniera seria, nel mondo della solidarietà.
Un caro saluto e... per voi che riuscite a dormire... sogni d'oro per quel che rimane di questa notte.

venerdì 21 novembre 2008

Notte libanese

La scorsa notte non sono riuscito a prendere sonno.
Sara' stato per l'imminenza del viaggio a Beirut
o per l'avventura che sta per iniziare.
Chissa'....
Sono uscito sul balcone della mia stanza.
La Luna al suo ultimo quarto,
Aldebaran, Betalgeuse, Sirio,
le sette sorelle dell'Orsa Maggiore e quelle del piccolo carro,
Sirma, Cassiopea e Orione.
Astri e satelliti a me famigliari
brillano in questa limpida notte libanese.
Erano anni che non rivolgevo lo sguardo al cielo,
erano anni che le troppe luci italiane
mi impedivano di vedere le stelle.
E subito mi viene una riflessione...
questo cielo e' lo stesso che possiamo osservare in tutto il Mediterraneo.
Abbasso lo sguardo e vedo sulle colline circostanti
le luci dei villaggi immersi nel sonno.
Il canto di un muezzin solitario mi arriva in lontananza
dal minareto di una moschea nascosta.
Non un alito di vento,
non una nuvola in cielo,
non uno stormire di fronde,
nessun viandante sulla strada.
Solo io e i miei pensieri
in questa splendida notte libanese.

martedì 11 novembre 2008

Addio ai monti

Ci siamo!! Dopo un anno di intensa e frenetica preparazione, incontri, riunioni, progetti e sogni è arrivata la data di partenza.
Questa sera (Alitalia permettendo) un aereo mi porterà in Libano per sei mesi di lavoro nel campo della solidarietà. Se da una parte sono molto contento di ritornare nel paese dei cedri dove ho tanti amici che mi aspettano, dall'altra mi spiace lasciare l'Italia dove sono i miei affetti soprattutto considerando l'avvicinarsi delle festività di fine anno... ma si sa che non sempre possiamo decidere sul nostro destino.
Non so se riuscirò a pubblicare post; spero di avere tempo per farlo, anche per un semplice pensiero.
Cosa aggiungere ancora?
Buona fortuna a tutti quelli che conosco e a chi si sofferma su queste righe.

sabato 1 novembre 2008

I vini del Garda

Tra le pittoresche colline moreniche del Garda e dello splendido entroterra si parla di viticoltura d'alto profilo e di vini dotati di alta professionalità. La passione dei vignaioli è un insieme di felici combinazioni che hanno contribuito a creare una produzione vinicola di tutto rispetto, capace di raccontare la regione benacense attraverso curatissime campagne coltivate a vigneto e vini di schietta tipicità. Dalla produzione del Bardolino a quella del Bianco di Custoza, del Soave e della Valpolicella, dalle denominazioni del Garda a quelle della Val d'Adige o del Sarca, dalla zona del Lugana al territorio di produzione di S. Martino della Battaglia, tutta la produzione vitivinicola invita a gioiosi assaggi e ad avventurarsi tra le strade del vino che si snodano in questo vasto territorio. Storiche aziende e bellissimi vigneti sono solo parte delle innumerevoli sfaccettature del mondo del vino. In autunno, nel periodo della vendemmia, paesi e piccole frazioni si animano per le feste tradizionali con spettacoli, cure dell'uva, degustazioni ed assaggi di specialità locali. In primavera la vicina e romantica Verona apre le porte ad appassionati e intenditori di tutto il mondo di una delle più grandi fiere internazionali del mondo del vino: il Vinitaly.
Se guidate non bevete.

martedì 28 ottobre 2008

L'eremo di S. Paolo a Ceniga

Vi voglio parlare di un posto isolato e silenzioso che si trova a nord della città di Arco e che merita una visita per la tranquillità ed il silenzio che regnano sovrani su questo luogo: l'eremo di S. Paolo.
Per arrivarci si può parcheggiare l'auto sotto la rupe del castello di Arco e proseguire a piedi verso Prabi in direzione nord; la strada è bella e scorre tranquilla tra i campi lungo l'argine destro del Sarca. Il sole dura a lungo e questa visita si può fare a qualunque ora. In alternativa si può arrivare fino a Ceniga e parcheggiare nella piazzetta centrale accanto alla fontana, ritornare indietro a piedi fino a prendere il ponte romano sulla destra che attraversa il Sarca e voltare a sinistra per trovarsi dalla parte opposta della strada precedentemente descritta.
Io comunque preferisco prendere la MTB e percorsa la stupenda ciclabile che collega Riva con Arco, proseguo in direzione nord fino all'inizio dell'abitato di Ceniga dove svolto a sinistra e faccio sosta presso il già citato ponte romano.

Le origini di questo manufatto sono oscure. L'originario ponte andò distrutto nell'antichità; l'attuale, nella sua forma romana, risale al 1719, come è testimoniato dalla lapide murata nella parte sommitale del ponte.

Il ponte del '700 fu demolito durante la Terza Guerra d'Indipendenza: il 21 luglio del 1866 il generale austroungarico Franz Kuhn, barone von Kuhnenfeld, preoccupato per l'avanzata di Garibaldi in Val di Ledro ordinò la distruzione di tutte le possibili vie di accesso alla città di Trento. Garibaldi non arrivò mai a Riva del Garda ma gli ufficiali austroungarici attuarono comunque la distruzione. Gli abitanti di Ceniga protestarono con le autorità dell'esercito per l'abbattimento del loro ponte e, per ottenere il risarcimento, tradizione sostiene che fu portata a Vienna la lapide del 1719, come prova dell'esistenza del ponte. Le autorità dell'Impero Austriaco riconobbero le ragioni dei residenti e fu ordinato all'esercito di finanziarne la ricostruzione. Ultimati i lavori, in fronte alla lapide settecentesca, venne murata una nuova lapide a testimonianza della riedificazione del ponte del 1868. 
Sulla spiaggetta sotto il ponte, i locali amano bagnarsi e prendere il sole nelle calde giornate estive.
Al termine del ponte voltando a sinistra (direzione sud) una piacevole e tranquilla strada si inoltra tra campi ordinati e silenziosi.
L'eremo di S. Paolo (XII secolo) si incontra a destra proseguendo per poco più di un chilometro; ad un'altezza di circa 50 metri, spicca sospeso e nascosto tra i lecci l'antichissimo fabbricato che ospitava l'eremita; la costruzione si raggiunge con una bella scalinata scavata nella roccia.
Realizzato nell'incavo di un sottoroccia calcareo del monte Colodri, era all'inizio una minuscola chiesetta con il soffitto affrescato che seguiva il movimento della pietra ed un piccolo altare. Ingrantitasi, una stanza ospitò per secoli gli eremiti. Durante la guerra la sua stanzetta segreta diede rifugio agli abitanti del posto durante le incursioni aeree.
L'edificio religioso è impreziosito da un ampio ciclo pittorico interno ed esterno di grande valenza con temi sacri e profani, realizzati tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo da uno dei tanti 'pittori itineranti' operanti nel Trentino tra il Medio Evo e il Rinascimento. All'interno è possibile ammirare sulla parete di sinistra un'ampia scena raffigurante l'Ultima Cena, mentre sulla destra si trovano rappresentati gli episodi della lapidazione di Santo Stefano e la conversione di San Paolo. All'esterno, sul lato rivolto a valle, è visibile un ciclo di affreschi che illustra scene profane di duelli tra armati che non ha precedenti nel panorama iconografico trentino. 
Il posto è di una suggestione unica; anche se non è difficile raggiungerlo, è improbabile incontrare turisti per cui diventa piacevole sedersi sugli antichi gradini della scalinata e "ascoltare il silenzio".
Ricaricate le "pile" è possibile riprendere la strada e dirigersi verso Arco.

domenica 26 ottobre 2008

Il castello di Gorizia

Siamo in un periodo dell'anno dove qualunque giornata di sole è un regalo prezioso da non lasciarsi sfuggire e, pertanto, raccolta la famiglia sono partito alla volta di Gorizia per visitarne il suo castello.
L'altura su cui sorge lo fa apparire visibile da gran parte della città e per avvicinarsi è sufficiente seguire le chiare indicazioni turistiche.

Il colle si ritiene sia stato abitato fin dall'età protostorica per la sua posizione strategica. Vi si accede da una passeggiata moderatamente ripida che, partendo dal suggestivo quartiere asburgico sottostante, con negozietti e architetture tipiche, costeggia la cinta muraria più esterna per confluire alla Porta Leopoldina (1660) movimentata da stemmi lapidei (in quello centrale e' raffigurata l'aquila bicipite della casa d'Austria).

La Porta introduce al Borgo Castello, formato da varie architetture in cui si conservano linee costruttive ed elementi originali tardomedievali o posteriori. La 'Terra di sopra', come veniva comunemente chiamata la cittadella compresa tra i bastioni esterni ed il Castello stesso visse il suo periodo di maggior floridezza e splendore sotto la reggenza del Conte Enrico II nel 1300 e si protrasse fino a circa la metà del 1500. Il Conte Enrico II, emancipò il borgo da un destino quasi esclusivamente militare, conferendogli una discreta autonomia commerciale. Nel Seicento nel borgo furono costruite diverse residenze nobiliari, le quali si erano aggiunte alle sedi di rappresentanza degli Stati Provinciali, a quelle del Comune e del Capitano. Le mura che costituivano il tratto caratteristico della città però ne condizionavano fortemente lo sviluppo restringendo l'area abitativa. L'espansione poteva avvenire ormai solo al di fuori del borgo stesso, dove di fatto si svolgeva la vita economica di Gorizia fin dai primi decenni del Duecento, quando, alla "villa" di Gorizia, fu concesso di tenere un mercato settimanale (1210 - Conte Mainardo II). Il progressivo incremento demografico e il trasferimento di quasi tutte le attività commerciali e mercantili al di fuori delle borgo, identificò la città di Gorizia con la sua parte inferiore al di fuori del borgo stesso. Nel 1542 pure gli Stati Provinciali, che rappresentavano l'autonomia del governo locale si trasferirono dal Castello alla 'Platea Nobilium'. Ormai al Castello non restava che la residenza ufficiale del Capitano, rappresentante l'autorità sovrana, in quanto anche la nobiltà goriziana aveva iniziato a disertare progressivamente la città alta ed a costruirsi le proprie dimore altrove. Il borgo, quindi, diveniva solo una zona periferica abitata da pochi nobili e tanti popolani.
Proseguendo verso il castello spicca la gotica Chiesa di Santo Spirito (1398-1414), ad aula unica e campaniletto a vela che assomma influenze nordiche e venete.
Nella gradevole cornice delle costruzioni antiche e di un verde curato si staglia il Castello,
il cui attuale aspetto, peraltro di notevole impatto emotivo, è il risultato di una successione di interventi che, dal primitivo assetto, segna la costruzione di un castello vero e proprio nel XIII sec. con i conti di Gorizia, cui si deve l'omonimo palazzo ancora superstite (con cinque bifore) e una prima cinta di difesa in legno, sostituita poi, nel Cinquecento, dal paramento esterno a tre piani, con torrioni, cammino di ronda e mura merlate in arenaria: opera questa resasi necessaria all'epoca dall'impiego ormai prevalente delle armi da fuoco.
Il castello quindi fu ampliato più volte per l'accresciuto potere dei conti, che all'epoca dominavano anche sul Tirolo e altri territori. Nel 1456 una disputa sull'eredità del Conte Enrico Cilli tra l'Imperatore Federico d'Austria ed il Conte di Gorizia Giovanni Mainardo porta ad uno scontro armato al seguito del quale quest'ultimo perde i possedimenti carinziani, Lienz e il castello di Bruck.

Nel 1462 il Conte Leonardo diviene l'ultimo Conte di Gorizia e sposa nel 1478 la Contessa Paola dei Gonzaga (a lato in un affresco della Camera degli Sposi del Palazzo Ducale di Mantova). Dal matrimonio non nascono eredi e, pertanto, la Contea di Gorizia entrò nell'orbita dell'Impero Asburgico, così che nel 1500, alla morte di Leonardo, il feudo fu assunto dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo.
La dominazione asburgica riconvertì il castello da baluardo di difesa a caserma e prigione, come era successo altrove.
Esso venne gravemente danneggiato dai bombardamenti della Prima Guerra Mondiale che semidistrussero la città.
Negli anni '30 fu promossa la restituzione architettonica del maniero nella sua essenziale foggia cinquecentesca.
Gli arredi che lo completano, di varia provenienza, creando una atmosfera d'altri tempi, risalgono invece al Sei-Settecento e consentono di effettuare un primo approccio con la più nobile produzione del mobile friulano.
Oltre al già citato palazzo dei conti di Gorizia, si segnala quello degli Stati provinciali, nel cui salone spiccano le insegne di 56 famiglie nobili e lo stemma della contea.
Ricca la raccolta di quadri che impreziosiscono vari ambienti di rappresentanza e non.
Molto didattiche la sezione al pianterreno e le parti esterne, in cui ci si può accostare alla vita militare quotidiana e alle diverse armi in uso nel Rinascimento.
Splendido il panorama che si gode dal camminamento di ronda su Gorizia e Nova Gorica.

sabato 25 ottobre 2008

Il Vittoriale degli Italiani

"Ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane - e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro - non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito. Già vano celebratore di palagi insigni e di ville sontuose, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risanguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame rude è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave "Puglia" è posta in onore e in luce sul poggio, come nell’oratorio il brandello insanguinato del compagno eroico ucciso. E qui non a impolverarsi ma a vivere sono collocati i miei libri di studio, in così gran numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di solitario studioso. Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata."
Con questo atto Gabriele D'Annunzio donava all'Italia la sua residenza sul Lago di Garda: il Vittoriale.
E' la cittadella monumentale cha il D'Annunzio allestì e abitò negli anni '30 a Gardone Riviera, pittoresca cittadina sulla sponda lombarda del lago.
Straordinario e insuperato insieme di edifici, vie, piazze, teatri, giardini, parchi e corsi d'acqua.
Già nel Settembre del 1917 il poeta volando sul Garda scrisse "Tutto è azzurro, come un'ebbrezza improvvisa, come un capo che si rovescia per ricevere un bacio profondo. Il lago è di una bellezza indicibile".
Successivamente all'impresa fiumana "O Italia o morte!" lo stesso Mussolini disse: "Gabriele D'Annunzio è come un dente marcio o lo si estirpa o lo si ricopre d'oro...io preferisco ricoprirlo d'oro".
Fu così che il Vate, avendo aderito in parte al pensiero fascista, poté costruire il Vittoriale a spese del regime, con il patto che tutto sarebbe stato donato allo stato dopo la morte del poeta. Ecco spiegato il nome "Vittoriale degli Italiani" poiché più che di D'Annunzio era di tutto il popolo italiano e da qui la massima che leggiamo alle soglie del Vittoriale "Io ho quel che ho donato".
Il progetto dell'intero complesso si deve all'architetto Giancarlo Maroni; lo stesso che progettò l'edificio che funge da ingresso alla cascata del Varone e la centrale idroelettrica della Rocchetta alle porte di Riva del Garda. I lavori di trasformazione dell'abitazione originaria iniziarono nel 1921 e terminarono dopo la morte del poeta. Nel 1925 venne dichiarato monumento nazionale.
Acquistato il biglietto si accede al giardino attraverso il viale principale;
prima di arrivare alla residenza del sommo poeta, sulla destra si giunge al teatro all'aperto
dove l'acustica è perfetta e l'effetto scenografico creato dal lago è stupendo; fu ideato dallo stesso D'Annunzio per la rappresentazione delle sue opere e per l'esecuzione di concerti.
Ritornati sul viale si prosegue e, nei pressi della Prioria, si arriva al semicerchio dell'Esedra con il tempietto delle memorie dannunziane. Era questa la prima tomba del Vate e adesso raccoglie i simboli della Patria che tanto gli furono cari: la bandiera di Fiume, l'acqua del Piave, il gagliardetto del suo reggimento e la terra del cimitero di Pescara.
Accediamo adesso alla Piazzetta Dalmata, cuore del Vittoriale; sotto un porticato ammiriamo la Fiat Tipo 4 con la quale il D'Annunzio, nel 1919, compì la marcia su Fiume.
Nella piazzetta attendiamo il nostro turno perché all'interno degli ambienti residenziali è possibile accedere solo accompagnati dalle guide.
Chiamata Prioria, la villa di D'Annunzio contiene più di 33.000 libri, la maggior parte ancora da aprire. Tutte le stanze sono caratterizzate dalla penombra poiché la luce diretta dava fastidio al poeta che soffriva di fotofobia. Qui non è possibile scattare foto. All'ingresso sono presenti due stanze una per gli ospiti indesiderati e una per per gli ospiti desiderati (Mussolini fu ricevuto in quella degli indesiderati). Continuando, arriviamo allo studio del poeta, che vi morì il 1° marzo 1938;
sulla scrivania sono ancora presenti i suoi occhiali. Forse la stanza più suggestiva è quella dove il poeta si ritirava a meditare, piccola, ma molto ricca di oggetti, il letto ricorda nella forma una culla (rappresentante la nascita), e una bara (simbolo di morte).
La sala da pranzo è caratterizzata da una tartaruga a capotavola ed è curioso notare che D'Annunzio soleva dire ai suoi ospiti che quella tartaruga era morta di indigestione; un modo "velato" per invitare gli ospiti a mangiare di meno (probabilmente io non sarei stato un gradito ospite in casa D'Annunzio). Nel corso della visita incontriamo lo studio del Poeta detto "Officina" con tre scalini e per accedervi bisogna piegarsi per evitare il basso architrave; ciò per obbligare il visitatore ad inchinarsi al cospetto del luogo dove si respirava arte e lavoro. Questa è l'unica stanza dove la luce diurna non è schermata. La stanza da letto è caratterizzata invece dalla presenza di numerosi oggetti di origine esotica: sete persiane, maioliche cinesi e piatti arabo-persiani. Il bagno è in stile francese e viene soprannominato anche bagno blu, per via del colore prevalente delle ceramiche e dell'arredamento composto da più di 600 oggetti.
Terminata la visita usciamo a vedere la luce gardesana: calda e accecante.
Dopo aver visitato l'auditorio, sul cui soffitto è appeso l'aereo SVA 10 con il quale lo scrittore compì il famoso volo su Vienna, ci inoltriamo nei giardini che coprono il 50% circa del Vittoriale; verso il lago è stata montata, su uno sperone, come a navigare su un mare di cipressi, la prua della nave "Puglia", donata dalla Marina Militare nel 1925, che al suo interno ospita un museo con modellini navali e gli arredi originali della stessa R. Nave Puglia.
E' questo il punto più sorprendente di tutto il sito;
la visione di questa nave che dalla montagna sembra scendere verso l'azzurro specchio del "Benaco marino" è grandiosa.
Salendo verso monte troviamo un edificio
dove è custodito il MAS che effettuò la Beffa di Buccari
e al suo fianco giungiamo al Mausoleo
sulla cui sommità sono custoditi i caduti del Natale di sangue. Qui sono disposte in cerchio dieci arche, sette delle quali sono i sepolcri dei legionari fiumani, compagni di guerra del poeta.
Nel centro, quasi librata nell'aria, l'arca in porfido di Gabriele d'Annunzio.
Siamo sul punto più alto del Vittoriale;
il colpo d'occhio sulla macchia mediterranea che ci circonda e sul placido lago è di una dolcezza indicibile.
Ancora una volta la mente vola alta a riflettere sulle miserie umane e su quello che è capace di costruire una natura lasciata libera di esprimersi.
Dopo queste riflessioni prendiamo la via del ritorno e ci fermiamo ad ammirare, nel boschetto delle magnolie, l'Arengo che è un recinto marmoreo di colonne e sedili dove il Comandante riuniva i compagni d'arme; il posto, per il fatto di essere in disparte e di sembrare abbandonato è di una suggestione unica.
Poco lontano c'è il piccolo cimitero dei cani del poeta.
Terminata la visita raccomando vivamente una visita al paese di Gardone che offre una bella passeggiata sul suo raffinato lungolago.
Per maggiori informazioni sulla visita, gli orari ed il costo dei biglietti visitate il sito ufficiale del Vittoriale molto ben realizzato.