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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

domenica 29 marzo 2009

Hummus di ceci

Una delle prime cose che ho mangiato qui in Libano è stato questo piatto tipico della cucina araba e che da queste parti è un autentico "must" tra gli antipasti. Se capitate in zona non potrete fare a meno di gustarlo... è sempre presente.
Nella lingua araba "hummus" ha il significato di ceci ed è una mousse a base di questo legume. Si mangia raccogliendone, con il classico pane arabo non lievitato, una piccola quantità direttamente nella scodella nella quale viene servita.
Prepararlo non è difficile. Ecco come fare.
Dosi per 4 persone (o per due come me):
- ceci lessati, 500 gr.
- limone;
- olio extravergine di oliva, due cucchiai;
- paprika o peperoncino, una punta di cucchiaino; 
- aglio, due spicchi;
- prezzemolo, un mazzetto;
- tahina (pasta di semi di sesamo tostati), 2 cucchiai;
- sale, q.b.
Se utilizzate ceci secchi, occorrerà metterli in acqua fredda per una notte, scolarli e lessarli a fuoco lento per tre quarti d'ora... altrimenti vanno anche bene i ceci in scatola.
Mettete in un frullatore i ceci sgocciolati, il succo di un limone, l'aglio tritato, la tahina e il sale e amalgamate il tutto azionando il frullatore a bassa velocità fino ad ottenere un composto omogeneo e denso (mezzo minuto dovrebbe essere sufficiente); potrebbe essere necessario aggiungere poca acqua (magari quella di cottura dei ceci se avete usato quelli secchi). 
Se volete servirlo alla libanese inserite il composto in una sacca da pasticciere e guarnite le pareti di una ciotola alta come mostrato nella foto; decorate con peperoncino, prezzemolo tritato e olio di oliva.
Anche nella nostra cucina questo piatto potrebbe essere servito come insolito e gustoso antipasto.

mercoledì 25 marzo 2009

Suunto X-Lander


Sarà perché ho perso l'ennesimo orologio, sarà perché in quest'ultimo periodo sento un desiderio all'acquisto compulsivo,  ieri ho acquistato un nuovo orologio: il Suunto X-Lander.
Chiamarlo orologio è riduttivo, il sito ufficiale lo definisce computer da polso. 
Tra le sue caratteristiche salienti ci sono un altimetro, un barometro, un termometro e una bussola oltre al cronografo multifunzione, sveglie, memorie ecc. E' dotato di cassa in alluminio anallergico impermeabile fino a 30 mt.
Credo mi sarà molto utile per le prossime escursioni che sogno di fare in montagna al mio rientro in Italia. 

Tra le altre cose sono anche riuscito a spuntare un prezzo molto vantaggioso, infatti a fronte di un costo ufficiale di € 330,00, dopo lunga trattativa, l'ho portato via per € 150,00.
C'è comunque un risvolto della faccenda. Questa mattina, quando l'amico Sax me lo ha visto al posto si è un poco irritato e questo pomeriggio me ne ha spiegato il motivo: lui e Barbara stavano pensando di regalarmene uno alla fine di questo percorso che stiamo percorrendo insieme e io, inavvertitamente, ho rovinato la possibile sorpresa... che dire? Grazie ragazzi... mai come in questo caso è il pensiero che conta. 
Questo mi fa sentire ancora più contento di condividere questa esperienza esaltante con voi.

sabato 21 marzo 2009

I Cedri del Libano

Il Tempio di Salomome e l'Arca dell'Alleanza sarebbero stati costruiti con il prezioso legno dei Cedri del Libano, gli unici alberi piantati direttamente da Dio stando a quanto riportato dalle Sacre Scritture. E' da qui che cominciano le fortune di questa pianta maestosa e spettacolare.
Contrariamente a quello che si potrebbe aspettare, il Cedro del Libano non ha niente a che vedere con l'albero di agrumi che cresce nel nostro meridione; quello che è diventato il simbolo del Libano e che campeggia in bella mostra sulla sua bandiera (Cedrus Libani) è una splendida conifera. 
Questo Cedro è una pianta singolare dalla crescita lentissima; pensate che i suoi semi impiegano ben quaranta anni per germogliare e, in seguito, la pianta cresce per non più di sette cm. all'anno fino a raggiungere i quaranta metri d'altezza. Hanno una vita millenaria; i Cedri più vecchi che si conoscono allignano in una foresta nel nord del paese a quasi 2000 mt. di quota nella Valle dei Cedri: sono due piante con un'età che supera i 3000 anni circondati da una decina di Cedri di oltre 1000 anni e quasi 400 secolari. Questa foresta si trova sotto la protezione del Patriarcato Libanese. 
Purtroppo non ci sono altri siti in Libano dove poter ammirare questi monumenti naturali. 
Il suo legno pregiato, ignifugo, inalterabile nel tempo lo ha fatto oggetto di tagli indiscriminati. Nel mio girovagare per il Libano ho avuto occasione di poterne osservare solo alcuni piccoli esemplari isolati  ad Arissa sopra Junieh
Ad ogni modo anche in Italia è possibile ammirare questi maestosi alberi, ad esempio, un esemplare di tutto rispetto vive nell'incantevole cornice del Parco di Miramare di Trieste. 

martedì 17 marzo 2009

Qana, villaggio biblico?

Il villaggio di Qana è situato ad una decina di chilometri a sud-est della città di Tiro.
Il paese è al centro di un dibattito accademico volto a stabilire se Qana corrisponda o meno alla biblica Cana, il villaggio in cui Gesù trasformò l'acqua in vino durante le famose nozze. Fino a poco tempo fa si accettava che fosse il villaggio israeliano di Kefr Kenna il sito del primo miracolo di Gesù ma gli scritti dello storico Eusebio (IV sec.) e di S. Girolamo (III sec.) sembrano appoggiare la tesi che si trovasse vicino Sidone. 
E' dunque questo villaggio la biblica Qana di Asher?
Ulteriori prove che confermerebbero questa ipotesi sono un bassorilievo scolpito nella roccia (raffigurante 13 personaggi che corrisponderebbero a Gesù ed ai suoi discepoli) e che risalgono ai primi tempi dell'era cristiana
ed una sottostante grotta dove Gesù e gli apostoli si sarebbero nascosti per sfuggire alle persecuzioni.
Sia la grotta che il bassorilievo si trovano poco fuori Qana in direzione Tiro nei pressi dell'ospedale abbandonato.
Il sito è molto suggestivo, attrezzato per le visite ma incustodito;
non vi sono problemi di parcheggio. 
La visita all'intero sito richiede non più di 45 minuti. 
Dal parcheggio una scalinata scende nell'adiacente wadi (caratteristica depressione molto frequente in Libano) 
e fronteggiando un caratteristico paesaggio brullo 
giunge alla grotta. 
Il silenzio e la solitudine del posto pervadono questo luogo di un misticismo discreto. 
Lasciata la grotta si può ritornare al parcheggio prendendo un altro sentiero che sale a destra e che passa prospiciente ad alcune rocce sulle quali è possibile intuire alcuni antichissimi bassorilievi dei quali ho già parlato.
Il luogo presunto del miracolo, invece, si trova nella cittadina dove, seguendo chiare indicazioni turistiche (in Francese),
sono visitabili i resti di grandi giare in pietra che avrebbero contenuto l’acqua trasformata in vino da Gesù durante la famosa celebrazione nuziale.
Il posto è al centro di un quartiere del paese per cui, quando mi sono recato nei pressi delle vasche in pietra, un nugolo di ragazzini si è raccolto intorno a me chiedendomi penne (!) e caramelle; uno di questi bimbetti dagli occhi enormi mi ha indicato, in un cimitero adiacente, un albero miracoloso che guarirebbe dalle malattie. 
Visitando questi posti ho sentito le stesse emozioni che ho provato alcuni anni orsono quando ho avuto modo di visitare Gerusalemme e Betlemme... ma questa è un'altra storia.

lunedì 16 marzo 2009

Mattino in montagna

Quando al mattino il sole si leva dietro le montagne fa nascere nei nostri cuori un grande senso di libertà che ci accompagna per tutto il giorno.

Quando fra le gole profonde delle montagne sibila il vento ci ispira un sentimento di liberazione che ci fa sognare lidi lontani.

Quando l'acqua dei ruscelli scorre veloce dopo le grandi piogge ci indica il sentiero della vita e le nuvole bianche nel cielo sono le nostre speranze che si muovono verso il futuro.

Quando l'uomo saprà capire tutte queste cose allora avrà raggiunto la felicità.

Dietro ogni essere umano c'è un paradiso piccolo o grande dove ci si può rifugiare a sognare per vivere.

                                                                          R. Battaglia 

sabato 14 marzo 2009

Il difficile mestiere del corrispondente

Qualche giorno fa, la mia amica Valeria Brigida è stata coinvolta in uno scontro a fuoco mentre stava svolgendo la sua professione, quella di giornalista. Poco dopo ha realizzato un articolo che mi ha autorizzato a pubblicare su questo blog. 
Come ogni bravo giornalista, Valeria riporta la cronaca di una ordinaria giornata di tensione scevra di commenti e considerazioni personali. 
Per chi vive la situazione libanese o, meglio, palestinese, tutto questo non è che normale amministrazione ma pensate per un momento di trovarvi, mentre lavorate, con le pallottole che rimbalzano impazzite tra i muri delle case o le lamiere delle macchine e qualunque riparo risulta approssimativo. 
Non sono eroi quelli che fanno questo lavoro così come non lo sono quelli che fanno la mia professione. Siamo persone normali che non riescono a mettere le radici in un posto, che amano sapere, conoscere, osservare, "sporcarsi le mani", magari raccontare. 
Penso con un sorriso a quei "professionisti" che scrivono sui giornali di gossip e che amano farsi chiamare giornalisti di cronaca rosa.
Meditate gente... meditate.
Cronaca dal campo palestinese di Nahr al Bared.
Non penso che il nostro campo sarà realmente ricostruito: ci stanno prendendo in giro”.  Per il dottor Nazer, palestinese quarantenne nato e cresciuto a Nahr al Bared, la cerimonia del 9 marzo è solo “una grande farsa da utilizzare politicamente, in vista delle elezioni di giugno”.
Ore 13.30. Con un lieve ritardo viene deposta la prima pietra per la ricostruzione di Nahr alBared. 
Nel maggio 2007 il campo palestinese, che si trova a circa 80 chilometri a nord di Beirut, è stato teatro dei violenti scontri tra l’esercito libanese e il gruppo jihadista Fatah al Islam. Una lotta sanguinosa che si è presto allargata ai territori limitrofi assumendo tutte le caratteristiche di una vera e propria “guerra”. Tre mesi di pesanti scontri a fuoco e bombardamenti in cui persero la vita cinquanta civili, centosettantanove soldati libanesi e duecentoventisei miliziani di Fatah al Islam. 
Le cifre ufficiali dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees) parlano, inoltre, di seimila famiglie sfollate. In tutto trentamila persone in fuga, di cui solo diecimila hanno fatto ritorno al campo. 
Dopo severi divieti di accesso, solo recentemente è stato permesso alla stampa di entrare nell’area devastata. Per accedere al campo bisogna oltrepassare un checkpoint dell’esercito libanese. Una volta superato il controllo si percorre un ampio viale di terra e fango. Sciami di bambini si rincorrono giocando. Donne sedute su sedie di plastica chiacchierano, mentre gli uomini fumano annoiati i loro narghilè. 
I palestinesi in Libano non hanno molti dei diritti più elementari. Neanche la possibilità di esercitare numerosi mestieri e professioni. 
Sullo sfondo, il grigio di palazzi sventrati. Macerie accatastate disordinatamente. Brandelli di mattoni, attaccati a spessi fili d’acciaio, penzolano immobili giù dai cornicioni. Quasi sfiorando il groviglio di automobili incenerite che ancora sostano di fronte a quelle che, un tempo, sembrano essere state abitazioni. Dai tetti, vigili come sentinelle, i soldati libanesi armati fino ai denti. Controllano che nessuno dei fotografi o cameramen presenti tentino di scattar loro foto o riprendere immagini. 
L’atmosfera è spettrale. Surreale. La sensazione è di essere entrati in una città fantasma. In un set cinematografico dove si è svolto un film di azione. E, invece, non c’è nessuna finzione. La realtà drammatica di Nahr al Bared appare in tutta la sua violenza e riporta alle recenti immagini di Gaza. Con una sola “sottile” differenza: al posto degli israeliani, qui, ci sono i libanesi. 
La storia di questo campo è stata ignorata, o forse presto dimenticata, dall’opinione pubblica occidentale. Tutto ha avuto inizio quando, secondo le fonti ufficiali, membri appartenenti a Fatah al Islam cercavano di prelevare illegalmente del denaro da un istituto bancario di Tripoli. L’esercito libanese ha reagito cercando di contrastare queste azioni. Ma il risultato è stato l’inizio di un confronto armato sfociato in tutta l’area. E Nahr al Bared si è trasformato nell’arena centrale di una lotta in cui il Libano ha inizialmente dimostrato la sua debolezza nel ripristinare l’ordine di fronte a un gruppo armato più piccolo, ma ben organizzato. 
Le origini del movimento jihadista Fatah al Islam sono incerte. C’è chi sostiene che, a partire dal 2006, mirasse a stabilire un emirato islamico nel nord del Libano. Membri del movimento politico “14 Marzo”, invece, sono convinti che dietro ci sia una regia siriana per la destabilizzazione del paese e del tribunale internazionale incaricato di far luce sull’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri. Gli alleati della Siria, al contrario, ritengono che dietro al gruppo ci siano proprio l’Arabia Saudita e il Future Movement, nel tentativo di formare una forza anti-sciita ed eseguire operazioni anti-siariane. Non manca, infine, chi sostiene che l’obiettivo di Fatah al Islam sia la creazione di una base jihadista nel nord del Libano per addestrare miliziani nel commettere azioni contro gli Stati Uniti e i suoi alleati in Iraq e Afghanistan. “Una cosa è sicura – afferma una giornalista di Al Jazeera – potenzialmente la maggior parte degli attori politici libanesi hanno interesse nell’esistenza di una simile organizzazione”. 
Superati i primi cinquecento metri di “poltiglia urbana”, si arriva al secondo checkpoint. Qui, possono accedere solo gli invitati alla celebrazione per la deposizione della prima pietra per la ricostruzione. La cerimonia, fortemente voluta dal primo ministro Fouad Siniora, ha inizio solo quando sono tutti presenti. C’è Abbas Zaki, ambasciatore dello Stato della Palestina a Beirut, Jean Kahwaji, in rappresentanza del comandante dell’esercito libanese, il direttore generale dell’UNRWA in Libano. Non manca neanche l’ambasciatore italiano Gabriele Cecchia. Per la ricostruzione di Nahr al Bared sono stati richiesti 455 milioni di euro. Di questi ne sono arrivati solo circa 120 milioni. Di cui 5 milioni, da parte dell’Italia, uno dei maggiori donatori europei. È un attimo, e il masso, che dovrebbe rappresentare simbolicamente “la prima pietra”, scompare e viene inghiottito da fotografi e cameraman. Quella a cui si assiste sembra una surreale sfilata di celebrità su una passerella fatta di macerie. Unico elemento di disturbo sembra essere un forte vento che, soffiando, solleva grandi nubi di polvere. 
Ha inizio la conferenza. Il ministro dell’Informazione libanese, Tarek Mitri, è visibilmente imbarazzato. Serio. Sembra essere uno dei pochi a capire che quella in cui si trova non è una festa. 
Lontano dai flash e dalle videocamere si avverte uno strisciante malcontento popolare. “Siamo considerati i nemici: Gaza era qui, prima ancora che ci fosse Gaza!” grida Abu Ettayeb, palestinese di 65 anni, nato ad Haifa, oggi villaggio nel nord di Israele, e arrivato come profugo a Nahr al Barednel 1949, all’età di quattro anni. “Perché hanno distrutto il campo? La domanda va fatta al primo ministro, al Capo dell’esercito libanese – sostiene Abu Ettayeb, continuando – vogliamo che sia istituito un tribunale internazionale anche per quel che è stato fatto qui”. “In altri paesi un ministro della Difesa si dimette per un semplice incidente aereo. Qui in Libano, invece, più si uccide, più si vincono stellette da attaccare sulla propria uniforme, più si fa carriera politica!”. 
Aldilà dell’area dedicata alla celebrazione sostano centinaia di palestinesi: i bambini si aggrappano al filo spinato presieduto dai soldati. Dietro di loro, i volti arrabbiati degli adulti. Qualcuno inizia a urlare l’odio contro l’esercito libanese, ritenuto responsabile della distruzione del campo. In pochi minuti, le frasi si trasformano in slogan. Le voci si tramutano in grida. In un attimo si arriva allo scontro. I soldati aprono il fuoco: sparano in aria. Poi iniziano a puntare i civili. Arrivano i carri armati. La stampa non c’è: è impegnata nelle interviste ai politici. Solo noi siamo lì: gli unici testimoni. Finchè un militare ci raggiunge, cerca di prendere la macchina fotografica e urla: “Vai via: questa è una questione tra libanesi e palestinesi.
                                                                  Valeria Brigida

martedì 10 marzo 2009

Buone notizie per Fatima

Finalmente!!! 
Siamo riusciti a risolvere un problema che da qualche giorno mi tormentava.
La piccola Fatima, di cui ho scritto in precedenza, aveva urgenza che gli venissero sostituiti il tubo per la tracheotomia e il sondino gastrico parenterale. I genitori, che non riescono più a sostenere le ingenti spese mediche, si sono rivolti a noi per un aiuto urgente. Vi ho già parlato di come sono riuscito a fare arrivare in Libano i farmaci. Oggi, insieme agli amici della mia squadra, dopo aver percorso numerose strade, sono riuscito a trovare i fondi per questi presidi medici. Domani il papà di Fatima riceverà il denaro e si recherà immediatamente a Sidone per acquistare questi dispositivi e poi si procederà con immediatezza alla sostituzione degli stessi in una struttura sanitaria.
Il problema della bambina sarebbe comunque stato risolto. Se non avessimo trovato i fondi avremmo provveduto di tasca nostra con l'aiuto di alcuni amici che si sono immediatamente resi disponibili.
Grazie a tutti per la generosità. 
Auguri piccola Fatima... fino a che rimarremo in Libano non ti lasceremo sola e i tuoi occhi continueranno ad osservare questo strano mondo.

domenica 8 marzo 2009

Wish you were here

Così pensi di poter distinguere il paradiso dall'inferno.
Cieli azzurri dal dolore.
Puoi distinguere un prato verde da un freddo binario d'acciaio?
Un sorriso da un velo?
Tu credi di saper distinguere?
E ti hanno fatto barattare i tuoi eroi con dei fantasmi?
Ceneri ardenti con degli alberi?
Aria calda con fresca brezza?
Una magra consolazione per il cambiamento?
Hai scambiato una parte da comparsa in guerra con un ruolo di comando in gabbia?
Come vorrei che tu fossi qui.
Siamo solo due anime perse che nuotano in una vasca per pesci
anno dopo anno
correndo sullo stesso vecchio terreno.
Cosa abbiamo trovato?
Le stesse vecchie paure.
Vorrei che tu fossi qui.

                                                     Pink Floyd, 1975
Questa canzone è stata dedicata dai Pink Floyd al loro fondatore Syd Barrett che nel '68 lasciò il gruppo per gravi scompensi mentali e sparì lasciando un grande vuoto. Sette anni dopo, durante un ascolto di prova del disco presso i mitici Abbey Road Studios, un uomo grasso e glabro era seduto tra i pochi presenti e nessuno lo riconobbe. Era Barrett che ascoltò il disco e poi si dileguò di nuovo senza più rivederli. 

I Gianduiotti

In un periodo amaro cosa c'è di meglio che un cioccolatino per addolcire il palato e migliorare l'umore? Ho già parlato in altro post delle "palle di Mozart" ma ci sono anche altri cioccolatini che apprezzo da sempre: mi ricordo che quando ero piccolo e abitavo a Torino, mio padre, che allora lavorava alla Fiat, poco prima di Natale riceveva dall'azienda due pacchi dono per me e mia sorella. All'interno, oltre al giocattolo adatto all'età c'era, immancabile, un sacchetto di dorati giandujotti.
Sarà perché mi ricordano l'infanzia, sarà perché sono uno dei simboli della città dove sono nato, sarà perché sono buoni, questi cioccolatini sono sempre stati tra i miei preferiti. 
E anche qui credo sia interessante ripercorrere la storia di questa piccola delizia.
Venne creato nel 1.806 quando Napoleone Bonaparte impose l'embargo all'Inghilterra e il prezioso cacao divenne merce rara. I maestri cioccolatieri torinesi decisero allora di unire quel poco di cacao rimasto con le nocciole tostate delle Langhe (tipico prodotto piemontese) e altri ingredienti minori come mandorle, lupini e frumento. Nacque così il "givu" pesante circa 12 grammi, dalla strana forma di barchetta rovesciata e che fu il primo cioccolatino ad essere incartato.
Fu subito un trionfo, prima nella città sabauda poi in tutta l'Italia settentrionale; la ricetta fu rispettata anche con la fine dell'embargo.
Nel 1.867 la Caffarel-Prochet-Gay, durante il Carnevale, chiama per la prima volta questa pralina giandujotto in onore della mitica maschera torinese.
Agli inizi la lavorazione avveniva manualmente. La pasta veniva lavorata fino ad ottenere un grado ottimale di viscosità, consistenza e fluidità. Alla fine gli artigiani scodellavano il cioccolatino che assumeva la caratteristica forma a barchetta. Successivamente il gianduiotto si ottenne per estrusione, producendo una pasta continua nella caratteristica forma a spicchio, tagliata a mano.
L'estrusione è sopravvissuta alla meccanizzazione della lavorazione e oggi rappresenta l'alternativa alla tecnica della colata nello stampo; in questo modo si ottengono dei cioccolatini meno elastici, meno grassi e dal gusto di nocciola più marcato.
Da quel tempo l'arte dei più noti maestri cioccolatieri torinesi è restata a testimonianza del gradimento di questo prodotto oggi esportato anche all'estero.

Vorrei...

Vorrei che tutte le culture del mondo potessero circolare liberamente intorno alla mia casa. Ma rifiuto che una sola di queste possa travolgere la mia esistenza.
                                                        Mahatma Gandhi

sabato 7 marzo 2009

Il senso della vita

Accidenti quanto è difficile riprendere un discorso interrotto due settimane prima per un periodo di ferie.
Ad ogni modo il lavoro non aspetta e il Libano richiede il suo contributo di affanni.
Un mese fa sono stato attivato da una giovane coppia di un paesino del sud del paese dei cedri per un caso drammatico: hanno una bambina colpita da ipossia alla nascita e in uno stato di coma vigile. Quando ero partito per il Libano avevo pregato di non trovarmi mai di fronte a casi del genere ma la fortuna non fa parte del mio bagaglio personale. 
Mi sono immediatamente precipitato da questa bambina con un medico rianimatore per confermare la diagnosi fatta alla bambina e per mettere ordine nei vari certificati medici. Beh, è stata una giornata straziante; Fatima, questo il nome della bambina, è bellissima. Uno scricciolo di 12 anni e di 20 kg. di peso. Quello che mi ha impressionato sono stati i suoi occhioni che ti seguono e sembrano parlarti dal profondo del suo cuore. I genitori, molto dignitosi, ci hanno chiesto un aiuto per procurargli alcuni farmaci salvavita che in Libano hanno costi proibitivi, almeno per il locale tenore di vita. 
Detto fatto, contattando un amico pediatra sono riuscito a far arrivare in Libano medicinali per un mese di cura e durante le mie ferie sono riuscito a procurarmi ulteriori medicine. Oramai siamo di casa in questa famiglia. La mia amica e giornalista Valeria, di cui ho parlato in altro post, quando ha saputo di questa ragazzina, mi ha chiesto la possibilità di poter raccontare questa storia dietro autorizzazione dei genitori. Ebbene, quest'oggi, insieme al mio team, siamo andati a portare le medicine alla povera Fatima, accompagnati da Valeria e da Francisco, un reporter spagnolo.
Era la terza visita che facevo alla bimba e tutte le volte è il solito tuffo al cuore, ma questa volta la piccola tremava tutta; durante un colpo di tosse gli si era staccato il sondino gastrico e si era danneggiato il tubo in gomma del respiratore automatico... un vero incubo per i genitori. Eppure era ammirevole la forza di volontà e la serenità di questa coppia. La consegna dei medicinali, a questo punto, è passata in secondo piano; ora la bimba ha bisogno che gli venga ricucito il sondino e necessita della sostituzione del tubo danneggiato. Domani ritorneremo ancora la con un medico chirurgo per sistemare Fatima nel migliore dei modi. 
Quando eravamo seduti nel salotto ho scrutato gli occhi dei presenti e in quelli dei componenti del mio team ho letto angoscia; Barbara, che era di fronte a me, credo abbia fatto una fatica terribile a trattenere le lacrime. Non si impara mai abbastanza a soffrire fino a che non si diventa cinici... per fortuna siamo ancora lontani dal diventarlo.
Vi ho raccontato questo episodio per poi proporvi una riflessione: quante volte ci siamo lamentati per delle autentiche stupidaggini? Ho visto persone dare di matto per un'unghia spezzata, per un treno in ritardo, per un semaforo rosso, per un'esclusione dal Grande Fratello...
Non credete che si debba tornare a recuperare valori come la solidarietà, l'amicizia, la voglia di parlare di grandi cose, il progettare un futuro migliore...? Perché la vita è un attimo e quell'attimo non torna mai indietro.
Buona vita a tutti.

venerdì 6 marzo 2009

Ritorno in Libano

Oggi sono tornato in Libano per concludere il lavoro avviato alla fine di Novembre. Ancora due mesi per portare a termine i progetti che la mia squadra ed io ci siamo imposti di perseguire... inshallah.

domenica 1 marzo 2009

Ki En Gi

In questi pochi giorni convulsi che mi vedono in Italia, prima del mio ritorno in Libano, ho fatto visita ad un mio caro amico, il pediatra Marino Andolina con il quale ho condiviso una bella esperienza nella passata missione libanese di cui ho parlato in un precedente post. Scopo della visita era quello di programmare le attività finanziarie per il corretto funzionamento di tre ambulatori in favore dei Palestinesi nella città di Tiro e per pianificare una futura visita del medico nella terra dei cedri nei prossimi mesi.
E' stata anche occasione per venire a conoscenza che Marino, tra le molteplici attività, ha trovato il tempo di scrivere e far pubblicare nel 2006 un romanzo che mi ha donato corredato da una bella dedica. 
L'ho letto tutto d'un fiato e mi sento di proporvelo soprattutto perché ho ritrovato nel protagonista la stessa carica di umanità e auto-ironia dell'autore con il quale condivide professione ed esperienze.
Il romanzo Ki En Gi è pubblicato da Chimienti - pag. 160 - prezzo € 13,00.
Bella e misteriosa, An She è una principessa sumera vissuta 5000 anni fa, divisa fra un amore impossibile e un figlio proibito, all’ombra della sessualità sacra dell’antica Mesopotamia, quando il destino degli uomini era argilla plasmata dagli dei: An, dio del paradiso, e Inanna, dea dell’amore e della guerra.
Il diadema di An She scivola nel mare durante un tragico viaggio e, secoli più tardi, sotto lo stesso cielo color lapislazzuli, finisce tra le mani di Santi, un famoso pediatra appassionato di archeologia, che nella Bagdad dei giorni nostri affianca la propria esperienza professionale a quella dei colleghi iracheni.
Lo scenario, oggi come al tempo dei guerrieri sumeri, è la violenza della guerra.
Ma un filo attraversa la storia delle guerre e lega e intreccia il passato e il presente, An She e Santi, e fa riverberare un’altra storia fatta di cultura e pensiero, nella terra che fu “luogo dei signori civilizzati”, Ki En Gi.