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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

lunedì 30 giugno 2008

Mi assento per un paio di settimane.

Sarò fuori per lavoro; un saluto a tutti.

Il mirto di Sardegna

Un paio di settimane fa ho lasciato la Sardegna con, nella valigia, un paio di bottiglie di liquore di mirto come souvenir. Mi piace ritrovare per casa oggetti e prodotti che mi possano ricordare i luoghi visitati.
Sono stato in Sardegna più volte e ho avuto modo di poter assaggiare il mirto artigianale, quello autentico dalla ricetta gelosamente custodita dal padrone di casa e che non trovi in commercio. Altre volte ho portato sulla terra ferma bottiglie di liquore commerciale ma mai eguagliavano, neanche lontanamente, il gusto ed il profumo di quello fatto in casa.
In una bottiglieria, nel Cagliaritano, mi hanno consigliato un nuovo prodotto di Zedda Piras: il mirto di Sardegna Monte Arcosu. Mi sono fatto suggestionare dal nome dal momento che anni fa ho avuto modo di visitare la riserva del WWF che insiste sul Monte Arcosu; convinto che si trattasse solo di una operazione di marketing, ho comunque acquistato, senza troppa convinzione, un paio di bottiglie (tra l'altro belle a vedersi) al costo di 12,50 Euro l'una.
Questa sera, oppresso dalla canicola, dopo cena, ho aperto il frigo e ho deciso di provare questo liquore freddo. Sono rimasto estasiato: ho ritrovato le stesse sensazioni che provavo quando girando per le borgate dell'Iglesiente venivo invitato in casa da qualche ospitale abitante per una merenda sarda a base di pane casereccio, pecorino poco stagionato, eccellenti salumi, olive e appunto profumatissimo mirto.
Riporto quanto scritto sull'etichetta posteriore: "L'Oasi di Monte Arcosu, nel sud-ovest della Sardegna, è un luogo unico al mondo, dove la natura sarda esprime la sua bellezza selvaggia e una forza antica e intatta. Nei boschi secolari di Monte Arcosu, da arbusti di mirto che crescono spontanei, vengono raccolte a mano e selezionate con cura le pregiate bacche. Grazie a un lungo periodo di infusione in alcool, le bacche cedono naturalmente gli aromi e i profumi che fanno di Monte Arcosu un mirto dal ricco colore rubino e dal gusto pieno e intenso; un richiamo alle inebrianti fragranze della Sardegna diffuse nell'aria
dal vento di Maestrale. Ottimo a fine pasto, Monte Arcosu esprime al meglio le sue caratteristiche se consumato freddo". Se vi capita di trovarlo, provatelo e fatemi sapere. Dello stesso liquore esiste la versione "gran riserva" in una prestigiosa bottiglia con doppio tappo (sughero e vetro).
Prosit!

domenica 29 giugno 2008

Il formaggio Montasio

Il Montasio è uno dei prodotti DOP tipici dell'intero Friuli Venezia Giulia ma anche delle province venete di Belluno, Treviso, Padova e Venezia (queste ultime due solo per una parte del loro territorio). Ovviamente gli allevamenti bovini che producono il latte necessario alla realizzazione di questo eccellente prodotto devono essere ubicati nelle zone di produzione.
Questo formaggio nasce attorno al 1200 nelle vallate delle Alpi Giulie e Carniche con lo scopo di conservare un prodotto estremamente deperibile come il latte.  Il nome gli deriva dal monte Montasio dove sul suo versante nord, nel paese di Moggio Udinese, si trova il convento (ora retto dalle Clarisse) dove secondo tradizione i Benedettini affinarono la tecnica di produzione dei malgari locali.
Il Montasio è un formaggio alpino a pasta cotta, semidura. In commercio, a seconda dei giorni di stagionatura, si trova fresco (da 60 a 180), semistagionato o mezzano (da 5 a 12 mesi), stagionato o vecchio (oltre 1 anno di stagionatura). Come intuibile, le caratteristiche organolettiche variano a seconda della stagionatura: fresco ha un gusto morbido che ricorda il latte con il quale viene prodotto; mezzano presenta un sapore più deciso e rotondo; vecchio è particolarmente saporito, aromatico con una punta di piccantezza che lo  rende comunque idoneo al consumo per  tutta la famiglia. La versione invecchiata è ottima consumata grattugiata nei primi piatti con sapori decisi.
Le forme si individuano per il marchio di origine "MONTASIO" posto sullo scalzo in senso obliquo e ripetuto per tutta la circonferenza. Sullo scalzo trovano posto anche la data di produzione ed il codice del produttore. Per le forme che hanno superato i 100 giorni di stagionatura e sono prive di difetti di maturazione, il Consorzio di Tutela imprime a fuoco un marchio di qualità.
Allo scopo di tutelare questo prodotto, il 20 novembre del 1984 è nato il Consorzio di Tutela del Formaggio Montasio che ne raggruppa i suoi produttori e stagionatori; nel 1996 il Montasio riceve dall'Unione Europea la speciale qualifica DOP.
Il Montasio è ingrediente di molte preparazioni gastronomiche tra cui uno dei piatti della tradizione friulana di cui ho già riferito nel precedente post: il frico.
Se non lo conoscete vi consiglio vivamente un suo assaggio e... attendo le vostre impressioni.

Il frico


Il frico è uno dei piatti che preferisco quando vado in montagna. E' possibile trovarlo in quasi tutti i rifugi del Friuli così come nelle trattorie e nei ristoranti della bassa friulana. Questo piatto in origine era una pietanza da recupero e serviva a "riciclare" gli scarti del formaggio; nato nelle valli Carniche si è poi diffuso in tutto il Friuli. Può fungere da antipasto o da seconda portata, ma anche da piatto unico se la porzione servita è abbondante.
Il frico lo possiamo trovare in due versioni: friabile e morbido.
Per entrambi l'ingrediente base è il formaggio Latteria o meglio ancora il Montasio.
La versione friabile non ha altri ingredienti, è molto sottile, quasi croccante; qualche volta ho trovato in alcuni ristoranti il frico friabile abilmente sagomato a forma di cestino contenente un fumante intingolo di funghi locali e Montasio fuso accompagnato da polenta gialla. Ultimamente sono apparsi in commercio anche dei sacchetti di snacks al frico ad imitazione delle patatine; ovviamente non reggono il confronto.
Personalmente preferisco la versione morbida composta da una miscela di Montasio di diversa stagionatura con l'aggiunta di patate, cipolla, extravergine di oliva e sale. Può essere servito così com'è o accompagnato con funghi, speck o altri salumi friulani; anche qui non manca mai la polenta di mais.
Visto che siamo in tema riporto anche la ricetta ma non voglio rubare il mestiere all'amica blogger Cuocapercaso.
Per 4 persone: 500 gr. di Montasio (per metà stagionato e per metà fresco), 500 gr. di patate, 100 gr. di cipolle, 5 cl. di olio (ma spesso viene usato il burro delle malghe per 50 gr.); sale q.b.
Le patate vanno sbucciate, lessate e tagliate a fette sottili; il formaggio deve essere tagliato in piccoli pezzi. In una padella antiaderente si fanno rosolare (a fuoco moderato) le cipolle nell'olio o nel burro ed in seguito si aggiungono le patate con sale e se gradito del pepe aumentando la fiamma per alcuni minuti. In seguito si aggiunge il formaggio e si continua a cucinare per circa 10/15 minuti a fuoco lento fino a che, comunque, la parte di formaggio a contatto con la padella non presenterà una bella crosticina; occorre ora girare il formaggio (magari con l'ausilio di un coperchio o di un piatto) per farlo dorare anche dall'altro lato.
Il frico ora è pronto per essere impiattato e servito ben caldo con una generosa quantità di polenta gialla. Se il frico presenta dell'olio in eccesso è necessario scolarlo prima di servirlo.
Come avrete visto dagli ingredienti non è certo un piatto leggero ed estivo ma adatto a climi freschi e dopo una discreta attività fisica. Come vino suggerisco un bianco locale: una Ribolla Gialla dei Colli Orientali del Friuli.
A presto.

venerdì 27 giugno 2008

Il monte Lussari


In questi giorni di canicola opprimente è inevitabile pensare alle vacanze o, almeno, ad abbandonare le proprie abitazioni per dirigersi verso il mare o la montagna alla ricerca di fresco e tranquillità.
Se siete tra coloro che preferiscono lasciare il mare agli edonisti della tintarella e non sopportano di aspettare sulla riva le classiche due o tre ore dopo i pasti per tuffarsi, quello che segue è un consiglio per una gita di una giornata (se abitate in Friuli Venezia Giulia o Veneto). Vale comunque la pena di trasformarla in più giorni per gli innumerevoli siti da visitare nei dintorni o se si arriva da più lontano.
Il luogo, di incomparabile bellezza, è facilmente raggiungibile e non presenta alcuna difficoltà se non la fatica di raggiungere la vetta.
Parlo del Monte Santo di Lussari che frequento da diversi anni (almeno 20) da quando con il mio amico Gianni di Terzo d'Aquileia, in pieno inverno, decidemmo di salire questo monte alla ricerca di neve in quanto sul fondo valle ce n'era davvero poca. Ricordo l'atmosfera magica ed ovattata dalla nebbia che trovammo sulla cima: pochissime persone, la scalinata che conduceva al Santuario completamente ghiacciata, i due bar/rifugi con le finestre appannate, un silenzio irreale, un freddo secco e pungente e i rami degli abeti ricoperti di ghiaccioli

In seguito sono ritornato più volte su questo monte, soprattutto nella bella stagione per godere dello splendido panorama che da qui si gode (siamo a mt. 1776 slm); lo sguardo spazia sui Tauri austriaci, sui rilevi sloveni, sulla vicina Cima del Cacciatore e sulle pareti nord del Jof Fuart e del Jof di Montasio.

Oltre ad essere un posto dal notevole impatto visivo, l'intera cima è permeata di misticismo a causa del Santuario che la domina insieme al minuscolo e pittoresco borgo.
Questo santuario ha una storia singolare che si confonde con la leggenda.
Nel 1360 in questo luogo un pastore di Camporosso era alla ricerca delle sue pecore che aveva perso d'occhio; le ritrovò inginocchiate attorno ad un basso pino mugo. Con grande stupore il pastore scorse in questo cespuglio una statua di Madonna con Bambino che provvide a trasportare a valle e a consegnare al parroco di Camporosso. Il giorno seguente la statua scomparve per riapparire ancora sul Lussari attorniata da pecore adoranti. L'episodio si ripeté per tre volte. Informato dell'accaduto, il Patriarca di Aquileia ordinò che sul luogo delle apparizioni venisse costruita una cappella. Ben presto il luogo attirò molti pellegrini per cui nel 1500 la costruzione venne ampliata. Nel 1786, con ordine dell'Imperatore d'Austria, Giuseppe II, vennero soppresse tutte le funzioni religiose, la chiesa fu spogliata e chiusa; quattro anni dopo il successore, Leopoldo, annullò l'ordinanza e la statua poté tornare in quota. Nel 1915, durante le fasi della Grande Guerra, il Santuario venne a trovarsi in piena zona di combattimento; il 16 settembre fu volontariamente centrato da una bomba che ne causò la distruzione. La statua fu fortunosamente salvata e portata a valle per essere custodita in varie località: Camporosso, Villaco, Klagenfurt, Maribor, Dravograd e infine ancora Camporosso. Il 24 giugno 1925 l'effige sacra ritornò tra i suoi monti nella chiesetta ricostruita. Anche nel corso del secondo conflitto mondiale la statua fu portata a valle (1943) per poi ritornare al suo posto l'11 agosto 1945.
La chiesa è stata più volte restaurata con gli interventi più impegnativi avviati dopo il tragico terremoto del 1976. Nel 1987 viene inaugurata la telecabina recentemente rinnovata.
Per la sua posizione e le sue frequentazioni internazionali, i padri francescani celebrano le messe nella lingua della maggioranza dei fedeli presenti.
E' possibile arrivare in questo posto prendendo l'autostrada A23 Alpe Adria in direzione nord e uscendo al casello "Malborghetto-Valbruna" ove troverete indicazioni stradali per raggiungere in breve tempo il Lussari.
Come dicevo è possibile arrivare sulla cima, senza fatica, utilizzando la telecabina ma io consiglio di arrivarci a piedi prendendo il sentiero nr. 613 (detto localmente del pellegrino) dal "Piano dell'Angelo" poco oltre la stazione a valle della telecabina oppure la più tranquilla carrareccia (ma ci transitano solo gli automezzi dei pochissimi residenti in quota) che parte dopo l'abitato di Valbruna sulla sinistra in corrispondenza dell'agriturismo Prati Oitzinger; per entrambi i percorsi mettete in conto tre ore per arrivare alla sommità del Lussari (ma ne vale la pena).

In cima è possibile compiere belle e rilassanti passeggiate.
La cartografia di riferimento è la Tabacco con il foglio 19.
Per il ristoro vi consiglio si sostare in una qualsiasi delle locande che si trovano nel piccolo borgo raccolto attorno al Santuario. Io sono personalmente affezionato all'albergo-rifugio "Al Convento" (tel. 0428/63184) dove ho sempre mangiato bene ed in maniera adeguata allo sforzo compiuto, in un ambiente tipicamente alpino e a prezzi onesti; da provare assolutamente gli gnocchi di ricotta fresca con menta o quelli di patate alle erbe aromatiche, i pasticci di funghi, gli sformati di Montasio, la selvaggina o il classico frico con polenta.
E se siete in dolce compagnia cosa c'è di meglio che pernottare lassù dove le stelle sono più vicine e le luci del fondovalle non disturbano la visione del cielo notturno?
Date un'occhiata a questi due bei video di Youtube:
Un caro saluto.

mercoledì 25 giugno 2008

Fondazione Luchetta, Ota, D'Angelo, Hrovatin

Oggi ho voglia di parlarvi di una splendida realtà del mondo del volontariato. 
Lo scorso anno ero, per lavoro, in un paese del Medio Oriente martoriato da una lunga ed estenuante serie di conflitti e tensioni armate. Inutile dire che i bambini erano (lo sono ancora purtroppo), le prime vittime innocenti dell'incapacità di risolvere i problemi in modo civile da parte di noi adulti (?). 
Quando esplodono tali conflitti, la macchina dei soccorsi internazionali si mette in moto e così in quei paesi colpiti dalle guerre arrivano i vari operatori umanitari di Organizzazioni Governative e Non  Governative, di ONLUS e di associazioni varie.
Posso dire, con un certo orgoglio, che noi Italiani siamo sempre in prima linea quando si tratta di portare solidarietà anche se poi, sul campo, non tutto pare funzionare come dovrebbe.
Ebbene, in una situazione di grave crisi post-bellica, con gli apparati governativi locali in grande difficoltà, soprattutto per quanto riguarda il campo della sanità, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con la "Fondazione Luchetta, Ota, D'Angelo, Hrovatin" ed in particolare con il Pediatra Dott. Andolina dell'Ospedale Infantile "Burlo Garofolo" di Trieste. Dopo poche parole scambiate al telefono con il medico, capisco di trovarmi di fronte una persona disponibile ed estremamente pragmatica. Intuendo che qualunque tipo di contributo poteva essere di estrema utilità per l'infanzia locale, Andolina non perde tempo, prende l'aereo e decide di passare le sue vacanze di Natale a curare i bambini musulmani. 
Ricordo il primo giorno del suo arrivo sotto una copiosa nevicata (piuttosto rara a quelle latitudini) e la competenza con cui ha operato girando per numerosi ambulatori più o meno diroccati; e ricordo anche che non si è presentato a mani vuote ma con denaro della Fondazione con il quale ha "saccheggiato" i medicinali pediatrici di alcune farmacie locali per rimpinguare gli armadietti quasi vuoti delle varie strutture sanitarie. Il Dott. Andolina si è poi affezionato a quel paese ed è tornato un paio di mesi dopo per ripetere l'esperienza. In quella circostanza ha anche individuato un ragazzo che presentava un piede maciullato da una cluster bomb e che aveva grossi problemi di deambulazione; la promessa di curarlo in Italia è stata la logica conseguenza di quell'incontro. Dopo il ritorno di Andolina a Trieste, mi sono interfacciato (non senza difficoltà) con le autorità locali e con l'Ambasciata Italiana (molto disponibili) per avere i visti consolari per il ragazzo e sua madre; in quella circostanza ho apprezzato molto l'abnegazione con la quale hanno lavorato i componenti del mio team (Pietro, Sax, Max, Nasser e Lino).
Messa a posto la burocrazia e le sue carte, quando sono rientrato in Patria insieme ai miei colleghi ho potuto portare con me il ragazzo che ho affidato alle cure del pediatra e della Fondazione. 
In seguito ho continuato a seguire la vicenda: madre e figlio sono stati ospitati da una struttura triestina  della Fondazione e le cure sono state somministrate dall'Ospedale Burlo Garofolo per circa due mesi.
Il ragazzo è rientrato nel suo paese di origine camminando con le proprie gambe senza più l'ausilio delle stampelle.
Vi ho raccontato tutto questo per "accendere la luce" su una organizzazione sana che funziona bene e che da lustro all'Italia. 
Nelle strutture della "Fondazione Luchetta, Ota, D'Angelo, Hrovatin" trovano ospitalità numerosi nuclei familiari con minori arrivati da paesi lontani e da situazioni drammatiche che vengono amorevolmente curati del tutto gratuitamente e che possono ritornare nei luoghi d'origine con il ricordo della generosità italiana scolpito nel cuore.
Al Presidente Enzo Angiolini, a Marino Andolina e Signora, al Consiglio di Amministrazione e a Mauro che gestisce il sito della Fondazione (messo tra i miei siti amici) va tutta la mia gratitudine con la speranza di poter condividere qualche altra avventura in futuro.

martedì 24 giugno 2008

Grotta Gigante - un mondo misterioso da guinness

Il fenomeno geologico che sottende all'attività chimica (e in parte meccanica) esercitata dall'acqua meteorica soprattutto sulle rocce calcaree è universalmente noto col nome di "carsismo". Questo termine è stato coniato a seguito degli studi che già a partire dal secolo XVII hanno visto impegnati geologi e chimici austriaci, sloveni e italiani alla ricerca di acqua su quel pianoro (allora) arido affacciato sul mare Adriatico alle spalle di Trieste e che prende il nome di Altopiano Carsico o Carso.
Ebbene, in questo singolare scenario è ovvio pensare ad un fiorire di fenomeni che vedono nelle grotte il risultato più spettacolare dell'incessante lavorio delle acque; molti, invece, ignorano che a pochi chilometri da Trieste si apre nel sottosuolo una cavità immensa ed impressionante che il "Guinness World Records" classifica come la grotta turistica a sala unica più grande del mondo. 
Se vi trovate a passare da queste parti vi consiglio vivamente una visita a questa meraviglia della natura per la quale quest'anno ricorre il centenario della sua apertura al pubblico.
Per approfondimenti vi rimando ad un mio post futuro ed al sito ufficiale della cavità.

lunedì 23 giugno 2008

Cioccolato fondente extra

Tornato dalla Sardegna, qualche giorno fa, ho trovato una gradita sorpresa; un libro fresco di stampa inviato a casa mia direttamente dall'autrice subito dopo la sua presentazione al Recente Salone del Libro di Torino. Si tratta di "Cioccolato fondente extra" della neo-scrittrice (si tratta di un'opera prima) Grazia Cioce. 
Dopo una prima occhiata di curiosità al volumetto, l'ho collocato in libreria con l'intenzione di portarlo con me in vacanza a luglio ma ieri, in attesa della partita Italia-Spagna, non ho saputo resistere alla voglia di dargli un'occhiata più approfondita: ho cominciato a scorrere le prime pagine e nel giro di poco tempo mi sono trovato immerso in una lettura piacevole e leggera. 
Posso dirvi che ogni capitolo del libro corrisponde alla trascrizione di una registrazione su nastro che un paziente (il protagonista Luca) invia al suo psichiatra nonché amico d'infanzia per continuare la terapia non avendo tempo e voglia di recarsi presso lo studio del professionista; tali registrazioni riguardano quasi esclusivamente il rapporto tra Luca e l'universo femminile e sono eseguite davanti ai fornelli quando il "paziente" è più rilassato perché si dedica alla nobile arte della cucina. Ed è così che si assiste ad una galleria di situazioni umoristiche in cui noi maschietti ci siamo sicuramente imbattuti almeno un paio di volte nella vita. 
Quello che è singolare è che l'autrice scrive in prima persona calandosi nei panni di Luca e lumeggiando con garbo i vezzi, i difetti, le manie e i tic dell'universo femminile a cui lei stessa (evidentemente) appartiene. Altra singolarità è che l'autrice inserisce in ogni capitolo delle ricette che hanno attinenza con la storia narrata.
Brava Grazia! Buona la prima.
Ora magari mi attendo un secondo libro che sia diametralmente opposto con una donna per protagonista che prende in giro le nostre strane abitudini; il titolo potrebbe essere "Cioccolato bianco al latte".
Per chi volesse saperne di più, di seguito, riporto il sito dell'autrice ed il blog di cucina che cura da diverso tempo:
Un caro saluto.

Calzature da trekking - prove in negozio

Individuati i modelli di scarponi che fanno al caso vostro potete andare in negozio per provarli; se non avete un negozio preferito è consigliabile recarsi presso il più fornito per essere ragionevolmente sicuri di trovare quanto vi occorre.
A fattor comune tutte le calzature devono essere comode! Quelle più tecniche sono più pesanti e hanno una struttura più rigida ma non per questo devono trasformare l'attività outdoor in una tortura, pertanto quando sarete nel negozio per provarle prendetevi tutto il tempo che vi occorre; se il negozio è serio ed il commesso competente non avrete nessun problema nel provarle con calma. Portatevi da casa un paio di calzettoni spessi, possibilmente quelli che usate o userete per le escursioni, indossateli e calzate entrambe le scarpe, sistemate ben dritta la linguetta e allacciate con cura fino a far passare le stringhe in corrispondenza degli ultimi ganci sul collo del piede; alzatevi e fate qualche passo e se sentite che le dita toccano la punta o che la scarpa stringe ai lati sospendete la prova e chiedete al commesso un numero superiore altrimenti continuate la prova e simulate, per quanto possibile, alcuni movimenti critici come l'accovacciarsi per sentire se la tomaia vi avvolge il piede senza stringervi le caviglie e la salita e discesa se il negozio dispone di un piano inclinato (alcuni grandi negozi specializzati hanno nel loro interno un piccolo percorso di prova); se dopo aver tenuto le scarpe per qualche tempo, continuate a sentirle comode e con il tallone ben bloccato sul tacco è probabile che facciano al caso vostro. Stabilito il modello ed il numero corretti per i vostri piedi potete decidere di acquistarli subito o di girare per qualche altro punto vendita per cercare di risparmiare (se tutti adottassimo questo atteggiamento per ogni acquisto la concorrenza tra esercizi commerciali decollerebbe finalmente).
Qualche consiglio finale: i commessi dei negozi specializzati in articoli per la montagna o sportivi sono senza dubbio preparati e possono darvi sicuramente preziosi consigli; prima di affrontare percorsi lunghi, le scarpe nuove necessitano di un periodo di rodaggio per conformarsi ai vostri piedi per cui indossatele per qualche giorno e fate qualche breve passeggiata ed infine le prove andrebbero effettuate la sera o dopo una discreta camminata in quanto in tali circostanze il piede si dilata leggermente, proprio come succede quando si percorre qualche bel sentiero di montagna.

Calzature da trekking - come sceglierle

Che differenza passa tra una pedula ed uno scarpone? La prima è una scarpa robusta e leggera che a volte non ricopre la caviglia ed è idonea ad affrontare percorsi tranquilli in condizioni meteoclimatiche favorevoli; la seconda, invece, è più pesante, fascia sempre la caviglia, è resa impermeabile tramite l'utilizzo di membrane tecniche e/o pellami pregiati, ha un aspetto più "cattivo", la suola ha un grip più aggressivo, tutta la struttura è più rigida. Nella realtà, però, questa distinzione non è così marcata; si usano indifferentemente i due termini per indicare le calzature idonee all'outdoor alpino.
Sulla base di quella che è la mia esperienza (non sono assolutamente un professionista della montagna) mi permetto di illustrare di seguito qualche suggerimento su come scegliere questo importante "strumento".
E' indispensabile premettere che con una calzatura corretta ed idonea al tipo di percorso che si intende percorrere si tutela maggiormente la propria incolumità; distorsioni. vesciche e tendiniti sono solo alcuni dei problemi che possono colpire chi affronta sentieri come se andasse a fare shopping in Via Veneto a Roma. Ricordo di aver visto un paio di anni fa una giovane donna con scarpe dotate di tacco da 5 percorrere, con evidente difficoltà, il sentiero che, partendo da Stanghe, conduceva all'orrido Gilf in Val Ridanna (Alto Adige).
Dietro le scarpe da trekking si cela un mondo affascinante fatto di progettazione, ricerca, artigianato e duri collaudi in laboratorio e sul terreno; Italiani e Tedeschi sono molto bravi in questo. A seconda di come gli scarponi sono progettati possono essere adatti ad escursioni più o meno lunghe, al trasporto di zaini pesanti, ad affrontare condizioni meteo avverse e suoli diversi.
Se siete dei curiosi che saltuariamente si avventurano per le valli alpine o appenniniche solo per respirare aria pulita o per fare passeggiate, magari con la famiglia, su sentieri ben battuti e segnalati è inutile acquistare scarponi supertecnici che, oltretutto, peseranno non poco sul vostro budget; io consiglio di non spendere più di 100 Euro per una calzatura leggera, alta alla caviglia ed impermeabile; chi frequenta negozi sportivi sa, però, che non è sempre facile trovare questo tipo di scarpe in quanto è molto più di moda affrontare sentieri di fondovalle con coloratissimi scarponi ipertecnologici dotati anche di lettore CD, condizionatore, fari allo xeon e collegamento satellitare ad Internet (eh eh). Il consiglio è quello di girare più punti vendita nel periodo dei saldi.
Se invece siete dei frequentatori abituali delle nostre belle montagne o avete intenzione di cominciare ad esplorarle (sempre con prudenza, mi raccomando!), non c'è che l'imbarazzo della scelta; a seconda delle vostre disponibilità economiche e dei vostri obiettivi, il mio consiglio è quello di optare per modelli che abbiano la tomaia in pelle o in cordura, che siano impermeabilizzati con fodera/membrana in Gore-Tex, che abbiano un efficace sistema ammortizzante sul tallone e abbiano la suola in Vibram opportunamente scolpita per "mordere" i sentieri. A dire il vero quasi tutti i modelli di fascia medio-alta corrispondono a queste caratteristiche per cui, volendo, potete lasciarvi guidare, oltre che dalla comodità della calzatura e dal suo prezzo, anche dal suo look; in montagna, per fortuna, è possibile, anzi raccomandabile, abbigliarsi con colori sgargianti che in città ci farebbero passare per matti.
Internet è una gran bella vetrina per individuare i modelli adatti a noi; è sufficiente digitare "pedule" o "scarponi da montagna" in un qualunque motore di ricerca e vi si presenterà un elenco delle industrie calzaturiere o di articoli sportivi che realizzano questi prodotti; sui siti delle ditte principali sarà semplice avere una panoramica delle scarpe in catalogo con una accurata descrizione degli stesse e delle attività a cui sono destinate. Se volete evitare di visitare tanti siti diversi potete dare uno sguardo al negozio on line di Sportler che racchiude nel suo catalogo le calzature di 16 ditte diverse e per ogni prodotto fornisce una scheda con descrizione, utilizzo, misure, colori e prezzi. Una volta individuati due o tre modelli che potrebbero fare al caso vostro dovrete affrontare la prova in negozio... ma questo sarà argomento del prossimo post.

domenica 22 giugno 2008

Calzature da trekking

Ho ancora la mano ingessata per una sospetta frattura allo scafoide sinistro e non so ancora se sarò in piena efficienza per la seconda metà di luglio durante la quale ho progettato di trascorrere le mie vacanze a Tarvisio; sono comunque ottimista e pertanto mi sto preparando revisionando il mio equipaggiamento. 

Ricordo che l'anno scorso scendendo dal Rifugio Cremona sul Tribulaun in Val di Fleres arrivai a valle con i piedi distrutti semplicemente perché gli scarponi non mi tenevano il piede perfettamente fermo al suo interno e pertanto le vesciche quel giorno hanno tenuto un party a mie spese. Il sentiero, certo, era accidentato ed in discreta pendenza ma niente di proibitivo; semplicemente quel giorno gli scarponi si sono rivelati non adatti ad un percorso leggermente più duro del solito. 

Non ho comunque buttato quelle calzature che saranno certamente utili durante escursioni più tranquille; ricordo di averle acquistate alcuni anni orsono a Roccaraso quando, al termine di una passeggiata con mia figlia in un bosco del Parco Nazionale d'Abruzzo, tornai in albergo con una delle suole dei miei primi scarponi staccata e con la pianta del piede protetta solo da una sottile membrana. Ero all'inizio della mia permanenza in Abruzzo e pertanto ho acquistato in tutta fretta un buon paio di calzature ma senza aver avuto modo di guardarmi attorno e di compiere una opportuna "indagine di mercato"; non mi ci sono mai affezionato e per quanto fossero della misura giusta e stringessi i lacci secondo quanto consigliato da amici esperti ho sempre avuto qualche problema nelle discese ripide ed accidentate.

Ed è così che dopo uno sguardo ad alcune riviste specializzate ed una passata su internet ho deciso l'altro giorno di  acquistare un nuovo paio di pedule: la scelta è caduta sul modello Eagle GTX della Salewa (in figura). Le sue caratteristiche sono: pelle pieno fiore da 2,0/2,2 mm. peso relativamente leggero (840 gr.), sistema blocca-lacci 3D, suola composita (HD CM EVA, supporto mediale in TPU, inserto ammortizzante sul tacco, strato finale Vibram®), fodera in pelle +  Gore-Tex®, tomaia anatomica. Il prezzo non è stato certo uno scherzo (€ 229,00 da Sportler) ma sono riuscito a sfruttare uno sconto del 20% e me la sono cavata con poco più di € 180.

La valutazione è stata del tutto personale e risponde a criteri ovviamente soggettivi ma ci sono sicuramente dei consigli che si possono dare a fattor comune e che saranno oggetto di un prossimo post.

Cime eterne

"Così me ne stavo sopra gli abissi immensi, quasi sciolto da questa terra, in mezzo al cielo luminoso, sull'isoletta bianca della mia cima, e vissi un'ora di felicità che non ritornerà mai più".
Con questa breve citazione dello scrittore di montagna Julius Kugy inizio a "popolare" questo spazio.
Sento molto mio il brano che, nell'800, l'esploratore triestino riportava nei suoi taccuini quando si trovava sulle Alpi Giulie  a respirare l'aria leggera e frizzante delle alte terre.
Ritornerò ancora a parlare di questa figura emblematica di un'epoca romantica ed avventurosa; ora però voglio solo soffermarmi su quella sensazione che ogni tanto mi avvolge il cuore e mi spinge ad attraversare la pianura friulana per portarmi dal mare al cospetto di enormi cattedrali di pietra, mute testimoni di epoche lontane e di eventi misteriosi. I Brasiliani e i Portoghesi chiamano questo stato d'animo con un termine suggestivo: saudade. Questa bella parola racchiude in se un sentimento, una sensazione in cui amo perdermi per poi ritrovarmi quando, con le pedule ai piedi,  comincio a mordere un sentiero di montagna.
Nel prosieguo del blog scriverò di altre cose (non solo di montagne).  Sono consapevole che ben pochi frequenteranno le mie dissertazioni (di blog più interessanti di questo ce ne saranno centinaia in rete); tuttavia mi piace pensare ad un net-surfer naufrago che, perdendo l'orientamento, si fermi  su queste righe a dargli uno sguardo.
A presto.