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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

domenica 28 giugno 2009

Dolomiti - Patrimonio dell'Umanità

Due giorni fa l'UNESCO ha inserito le Dolomiti tra i siti patrimonio dell'umanità.
Per gli amanti di queste splendide ed uniche montagne si tratta di una notizia importante.
Ecco come l'Ansa ha dato la notizia.
SIVIGLIA (SPAGNA) - Il 'World Heritage Committee' ha ufficialmente inserito le Dolomiti nella lista del Patrimonio Universale dell'Umanità UNESCO.
La decisione sulla candidatura presentata dallo stato italiano e' stata presa all'unanimita' dai 21 membri della commissione UNESCO, riunita a Siviglia. Alla proclamazione ha assistito la delegazione italiana guidata dall'Ambasciatore all'UNESCO Giuseppe Moscato e dal Ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo. In sala anche esponenti delle realtà territoriali che l'hanno sostenuta.
Patrimonio da 231 mila ettari di vette. Nove gruppi dolomitici per un' estensione complessiva di 142 mila ettari, cui si aggiungono altri 85 mila ettari di 'aree cuscinetto', per un totale di 231 mila ettari, suddivisi tra le province di Trento, Bolzano, Belluno, Pordenone ed Udine: questo il nuovo patrimonio dell'umanita' sancito dall'UNESCO oggi a Siviglia. Fanno parte il gruppo formato da Pelmo e Croda da Lago, situati in Veneto, tra Cadore, Zoldano e Ampezzano; del massiccio della Marmolada, posto fra Trentino e Veneto e comprendente la cima più alta delle Dolomiti (3.343 metri) e il ghiacciaio più significativo; il gruppo formato dalle Pale di San Martino, Pale di San Lucano e Dolomiti Bellunesi, per lo più in territorio veneto ma anche trentino; il gruppo formato dalle Dolomiti Friulane e d'Oltre Piave, le più orientali, suddivise fra le province friulane di Pordenone e Udine; le Dolomiti Settentrionali, situate fra Alto Adige e Veneto e comprendenti i frastagliati Cadini, le candide Dolomiti di Sesto, le austere Dolomiti d'Ampezzo, le lunari Dolomiti di Fanes, Senes e Braies; il gruppo Puez-Odle, tutto in territorio altoatesino, oggi splendido parco naturale; il gruppo formato dallo Sciliar, dal Catinaccio e dal Latemar, a cavallo fra Alto Adige e Trentino; le Dolomiti di Brenta, le piu' occidentali, dove vive ancora l'orso bruno, tutte in territorio trentino; il Rio delle Foglie, uno straordinario canyon, unico al mondo, le cui stratificazioni rocciose dei piu' diversi colori e gli innumerevoli fossili di animali preistorici permettono di 'leggere' come in un libro aperto la storia geologica della Terra.La candidatura delle Dolomiti era arrivata in Spagna forte del parere positivo espresso nelle scorse settimane dall'Iucn (l'Unione mondiale per la conservazione della natura), l'organismo internazionale incaricato di esaminare in prima istanza e candidature dei beni naturali UNESCO. Sinora in Italia il riconoscimento come bene naturale era stato assegnato solo alle Isole Eolie.
Trekker sotto le Tre Cime di Lavaredo qualche anno fa.

venerdì 26 giugno 2009

(Tentata) Salita al Rifugio Pellarini

Domenica scorsa, dopo una settimana di maltempo, il meteo dava sole sulle Giulie per cui sono partito di buon mattino deciso a raggiungere il Rifugio Pellarini che è una delle mie "bestie nere".
Ricordo che più di venti anni fa, insieme al mio amico Gianni, tentammo di raggiungerlo ma all'epoca eravamo dei ragazzi inesperti, poco attrezzati e soprattutto senza cartografia adeguata. Fu così che ci perdemmo trovandoci sul sentiero che portava al Bivacco Stuparich mancando clamorosamente il bersaglio.
Una decina di anni dopo provai nuovamente insieme ad altri compagni. Questa volta avevamo la carta escursionistica e, soprattutto, una conoscenza migliore della zona ma quando arrivammo in vista del rifugio, col binocolo scorgemmo dei lavori in corso... il rifugio era chiuso per ristrutturazione. Con un pò di delusione, per non esserci informati preventivamente, tornammo indietro senza neanche provare a raggiungerlo.
Domenica ero deciso a vincere finalmente la sfida ma questa volta in solitaria.
Presa l'autostrada a Trieste, sono uscito a Malborghetto-Valbruna e sono entrato in Valsaisera. Qui, superato l'abitato di Valbruna e percorsi 2.500 metri, in corrispondenza del cartello che segnala l'Agriturismo Prati Oitzinger, ho lasciato l'asfalto per una strada bianca, sulla sinistra, che dopo 100 metri termina in un parcheggio a quota 860 m. s.l.m. Da questo parcheggio le indicazioni per il Rifugio Pellarini mi portano ad imboccare verso sud il sentiero CAI nr. 616 che in breve piega verso est per superare, con un guado, il torrente Saisera. E qui la prima difficoltà: il torrente era piuttosto ingrossato per le copiose piogge dei giorni precedenti e il superamento in quel punto non era certo agevole.
Ho provato a risalire la sponda verso sud per circa 500 metri e sono riuscito a guadare il torrente ma la sponda opposta risultava impraticabile per la fitta vegetazione ragione per cui sono tornato indietro tentando migliore fortuna verso nord dove, consultando la carta topografica, avevo individuato un paio di ponti che però portavano su altri sentieri. Arrivato ad uno di questi,
ho guadagnato la sponda opposta che qui risultava meno impervia. Ho risalito il corso del torrente guadando alcuni piccoli affluenti
e sono riuscito finalmente a ritornare sul segnavie 616. Questo contrattempo mi ha fatto perdere un'ora esatta ma ora finalmente sono sul sentiero e non ci sono altri corsi d'acqua da superare. Il tempo, purtroppo, si guasta e il sole sparisce dietro una coltre di nubi. Ancora una volta il Pellarini sembra respingermi ma decido di rischiare la "slavazzata" e procedo. Il sentiero guadagna rapidamente quota lungo il costone del Rio Zapraha. E' largo e percorribile dai fuoristrada che portano i rifornimenti per il rifugio fino alla teleferica. Sono immerso in un fitto bosco di abeti rossi e faggi. Sulla carta Tabacco in mio possesso, questo sentiero viene indicato come "naturalistico WWF"; ricordo che l'ultima volta che l'ho percorso erano presenti alcuni cartelli che illustravano le peculiarità dell'ambiente. Ora è rimasto solo il nome.
Il sentiero continua a salire;
per non sbagliare è sufficiente seguire il percorso principale e qualora vi siano dubbi tenere sempre la destra proseguendo in direzione sud-est. Dopo un'oretta di cammino la pendenza si fa più dolce e si arriva ad un pianoro dove sono al cospetto delle chiare bastionate in calcare del Nabois Grande con alcuni piccoli nevai che resistono nelle zone più in ombra
e del Nabois Piccolo.
Una sosta ad un piccolo crocifisso che ricorda un cittadino di Valbruna ucciso a 43 anni dalla caduta di un albero nel 1970.
Dopo una breve riflessione sulla caducità della vita, sono alla stazione delle teleferica che porta i rifornimenti in quota al "Pellarini". Siamo attorno ai 1150 mt. s.l.m. Qui termina la parte turistica del sentiero ed inizia la parte più interessante. Superato il letto secco di un torrentello, il sentiero, non più agevole, procede in salita e a tratti esposto ma senza particolari difficoltà.
Dopo alcuni passaggi sotto pareti di roccia arrivo ad un bivio completamente innevato con la temperatura che cala bruscamente.
Piego a destra evitando a sinistra la deviazione per la Sella Presnig e in breve guadagno una costola rocciosa che passa sotto le Cime delle Rondini.
Il paesaggio è diventato decisamente alpino. Qua e la ampie chiazze di neve compatte resistono nonostante il mese di giugno. In lontananza, dietro ad alcuni abeti, si scorge finalmente il rifugio davanti alle imponenti pareti settentrionali della Madre dei Camosci e dello Jof Fuart.
Ad un certo punto il sentiero scompare sotto uno di questi nevai che scende verso valle.
Con attenzione lo attraverso per evitare di scivolare verso il basso. Superato questo ostacolo se ne para un altro identico dopo pochi metri. Superato anche questo, il sentiero sale su roccette fino ad arrivare ad un più ampio nevaio, più grande dei precedenti, che sembra arrivare fino al rifugio. Manca solo un centinaio di metri alla meta ma a questo punto la mia prudenza mi impedisce di procedere oltre... se almeno avessi portato una picozza!! Sono solo, in giro non c'è nessuno, se dovessi scivolare probabilmente non ci sarebbe nessuno a soccorrermi per cui, anche se con un pizzico di rabbia, ancora una volta devo ammettere che il "Pellarini" ha vinto sulla mia voglia di rischiare.
Ok... sfida rimandata ad altra occasione.
Sono arrivato a quota 1400 superando un dislivello di quasi 600 metri considerando anche il girovagare per il torrente.
Il tempo per qualche foto e comincio la discesa. Le condizioni atmosferiche sembrano peggiorare e adesso fa freddo. Mi godo la discesa e penso che l'escursione è valsa comunque la pena anche se la meta è stata mancata per soli cento metri.
Arrivato al "famoso" guado, trovo un gruppetto di escursionisti del CAI di Magenta provenienti dal Lussari fermi con la loro guida (una ragazza austriaca) indecisi sul da farsi. Mi chiedono se c'è un'altra strada per raggiungere la sponda opposta e così tutti insieme percorriamo la riva in direzione nord fino a raggiungere il ponte percorrendo lo stesso itinerario dell'andata.
Saluto il gruppetto e raggiungo l'agriturismo Prati Oitzinger per rifocillarmi. E' spuntato un timido sole. Mi accomodo sotto la pergola in vista del Montasio. Il gruppetto che ho accompagnato da una sponda all'altra del Saisera mi raggiunge e tutti insieme mangiamo e beviamo quello che l'agriturismo ancora riesce a offrire alle 3 di pomeriggio. Io ho preso un ottimo frico con polenta. Scambiando qualche parola con la guida austriaca alla quale ho prestato la mia carta topografica, il discorso scivola sulla prudenza in montagna e lei si è rallegrata con me per non aver voluto raggiungere la meta a tutti i costi rischiando un incidente aggiungendo, inoltre, che non era proprio il caso di dare lavoro supplementare agli amici del Soccorso Alpino e indicandomi con la mano, proprio in quel momento, un elicottero bianco del soccorso alla probabile ricerca di un alpinista in difficoltà.
Terminato lo spuntino sostanzioso, non avendo voglia di tornare in città, decido di dirigermi verso la vicina Tarvisio dove mi reco presso la locale Azienda di Soggiorno e Turismo per fare incetta di materiale utile alle mie prossime passeggiate. All'uscita il tempo è di nuovo peggiorato e ha cominciato a piovere per cui ho raggiunto l'auto e con molta calma ho preso la strada del rientro.

giovedì 25 giugno 2009

"Aria di festa" a San Daniele del Friuli

Uno dei prodotti dell'enogastronomia del Friuli che tutto il mondo ci invidia è il prosciutto crudo San Daniele, un prodotto fortemente radicato al territorio in cui nasce.
Il colle di San Daniele del Friuli è situato a pochi passi dalle prime alture delle Prealpi Giulie, lambito alla base dal Tagliamento. In questo magnifico luogo, l'aria fredda proveniente dal nord e quella calda in arrivo dall'Adriatico si incontrano e si mescolano lungo il fiume che fa da conduttore e da "climatizzatore" naturale. Ne deriva una ventilazione garbata ma costante, con il giusto tasso di umidità; condizioni ideali per la stagionatura della carne.
Cosce fresche di suino di produzione nazionale rigorosamente controllate, sale marino e l'aria di San Daniele. Solo questi tre ingredienti e almeno dodici mesi di cure affettuose nella trentina di stabilimenti che caratterizzano il paesaggio che circonda il centro abitato, a costituire la ricetta di un prodotto che è diventato un mito.
Il prosciutto (la parola "crudo" è superflua) è, insieme all'aria di San Daniele, protagonista assoluto di una manifestazione nata oltre venticinque anni fa, che si svolge nell'ultimo week-end di giugno: "Aria di festa".
Quattro giornate (da venerdì a lunedì) durante le quali nelle vie e nelle piazze di San Daniele, negli stabilimenti che spalancano i cancelli per l'occasione, centinaia di migliaia di persone assaggiano il "Sandaniele" (per gli amici) in condizioni ottimali, affettato con cura e consumato all'istante, con il solo condimento dell'aria irripetibile di San Daniele.
Quest'anno la madrina della manifestazione sarà Belén Rodrìguez.
Tra le varie iniziative segnalo:
- le degustazioni guidate per scoprire le caratteristiche del San Daniele, i consigli per la conservazione e gli abbinamenti con i vini del Friuli Venezia Giulia;
- i corsi di cucina con ricette creative e dimostrazioni pratiche con degustazione finale;
- istruzioni per riconoscere il San Daniele, per affettarlo a macchina e a mano;
- concerti ed esibizioni di gruppi folcloristici locali e non;
- mostre fotografiche, filateliche e tematiche legate al prosciutto;
- visite guidate in una decina di prosciuttifici.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito ufficiale.

mercoledì 24 giugno 2009

La Limonaia del Castèl a Limone del Garda

13 Settembre 1786.
Il mattino era magnifico, un pò nuvoloso, ma al levar del sole, calmo. Passammo davanti a Limone, con i suoi giardini a terrazze su per il pendio dei monti; uno spettacolo di ricchezza e di grazia. L'intero giardino consta di file di bianchi pilastri quadrangolari che sono collocati ad una certa distanza l'uno dall'altro, su un declivio del monte, a gradini. Sopra questi pilastri sono collocate delle robuste pertiche per coprire, in inverno, gli alberi che crescono negli intervalli. La lentezza della traversata favoriva l'osservazione e la contemplazione di questo piacevole spettacolo.
Wolfang Goethe - Viaggio in Italia
Gli agrumi, originari della Cina e dell'India, si diffusero in Europa con l'arrivo degli Arabi, intorno all'anno mille.
Furono i frati del convento di S. Francesco a Gargnano ad introdurre i limoni della riviera genovese a Limone del Garda nel XIII secolo.
A partire dal XVII secolo, per proteggere le preziose piante dai non frequenti freddi invernali, si realizzarono le prime limonaie modificando gli antichi terrazzamenti con muraglioni, pilastri, scale in pietra, accessi e travi su cui da Novembre a Marzo si fissavano assi e vetrate. In posizione centrale, o ad una delle due estremità, si trovava il casello (casèl) con lo scopo di ricoverare i materiali per la copertura.
Da allora, Limone divenne il paese dei limoni. Tutto il golfo restò segnato dalle nuove imponenti strutture, immortalate nelle stampe, decantate nelle pagine di scrittori e poeti.
Ogni pianta della Limonaia aveva a disposizione una superficie di 15/20 mq. detta campo (cap) o campata (campàa); l'estensione di un giardino si misurava per mezzo del numero dei campi.
Un documento del '500, una sorta di disciplinare, ci dice che le piante dovevano disporre di un terreno grasso e privo di sassi, il letame andava steso prima di dissodare la terra e con la limonaia ancora priva di copertura; la raccolta dei frutti era fatta a mano utilizzando scalini o treppiedi per arrivare ai rami più alti.
Limone fu la zona di produzione d'agrumi più settentrionale al mondo; i limoni raggiungevano Germania, Polonia, Russia garantendo al piccolo borgo guadagni sostanziosi.
Nella seconda metà dell'ottocento si manifestarono segnali di crisi. La malattia della gommosi (1855), la concorrenza dei limoni delle regioni meridionali a seguito dell'unificazione d'Italia (1861) e la scoperta dell'acido citrico sintetico resero le coltivazioni sempre meno competitive. I colpi di grazia arrivarono durante la Prima Guerra Mondiale, quando i materiali per le coperture delle limonaie furono requisite per fini bellici e durante la gelata eccezionale del 1928/29.
Le strutture di questi importanti impianti sono rimaste mute testimoni di un passato che l'amministrazione comunale di Limone non ha voluto dimenticare. Ecco allora l'acquisizione pubblica della Limonaia del Castèl situata a nord-ovest del centro storico, addossata alle rocce della Mughèra, e che si sviluppa su più terrazzamenti (còle), tre da una parte e quattro dall'altra rispetto al casello centrale a più piani che funge da collegamento tra le còle.
Questo giardino di oltre 1600 mq. è facilmente raggiungibile in quanto ben segnalato con numerosi cartelli turistici. Una visita a questa struttura è un'occasione per un salto indietro nel tempo e una splendida passeggiata con bellissime vedute panoramiche sul Lago di Garda e il dirimpettaio Monte Baldo.
La sua costruzione risale al primo settecento; nel 1995 diventa di proprità pubblica e due anni dopo iniziano i lavori di recupero e la copertura di due còle. Infine nel 2004 si sono piantumati una cinquantina di agrumi: limoni, cedri, pompelmi, mandarini, mandaranci, chinotti, clementine e kumquat. Da allora la Limonaia del Castèl è aperta al pubblico.
Il casello centrale è stato allestito a scopo museale-didattico.
La Limonaia è aperta al pubblico da aprile a ottobre, tutti i giorni, dalle 10 alle 18. Per prenotazioni negli altri mesi o per informazioni potete telefonare allo 0365.954008 in orario d'ufficio.

lunedì 22 giugno 2009

Buon compleanno.

Esattamente un anno fa aprivo questo blog per ingannare il tempo a causa di uno stop forzato. Nato come una sorta di diario di viaggio scritto, più che altro, per me stesso e per evitare che i mille impegni offuschino per sempre i tanti ricordi legati a luoghi, persone e cose; nel corso di questo primo anno ho avuto il piacere inatteso di ricevere quasi 12.000 visite con alcuni affezionati blogger che non mi hanno fatto mancare commenti e sostegno.
A chi segue questo blog invio un caro saluto e... grazie di cuore.

domenica 14 giugno 2009

Il Carso - Formazione geologica

Il Carso è costituito da rocce carbonatiche (carbonato di calcio) in altissime percentuali; nella Cava Romana di Aurisima si estraggono blocchi di pietra puri al 98%, privi di sostanze intrusive. A volte è anche presente la celebre dolomia (carbonato di magnesio).
Questo incredibile altopiano ha origine nel Cretaceo (120 milioni di anni fa), sotto un mare caldo e poco profondo chiamato Tetide che ricopriva quasi interamente l'odierna Europa.
Nella Tetide la vita animale e vegetale ebbe un fiorente sviluppo per trasparenza e temperatura delle sue acque. I resti del plancton (formati da carbonato di calcio, magnesio e silicio) andavano a depositarsi sul fondo marino formando una fanghiglia bianca che, sotto la pressione dell'acqua, andava compattandosi e trasfomandosi in roccia. La sedimentazione marina avveniva a cicli alterni; a seconda delle condizioni ambientali esistenti in quei periodi, si originavano strati di consistenza e spessore diversi. I fossili-guida intrappolati nel "sandwich" stratigrafico sono utili per determinare in quali condizioni sia avvenuta la sedimentazione.
Nel corso delle ere geologiche successive, questo fondo marino, a causa di imponenti movimenti orogenetici dovuti alla collisione delle zolle continentali africana e baltica, in certi tratti veniva piegato e sospinto verso l'alto, sino ad emergere in superficie con un susseguirsi di pieghe che superavano anche i 4.000 meri di altezza. Questa emersione si concluse nell'Eocene (50 milioni di anni fa) quando si formarono le principali catene montuose europee e, come estrema propaggine delle Alpi Dinariche, emerse dalle acque il Carso.
La dorsale dell'altopiano, già prima di emergere, era orientata su un asse che da sud-ovest portava verso nord-est. L'emersione non avvenne, però, secondo un piano orizzontale ma inclinato, per cui mentre a Basovizza si ha una quota di 400 mt. s.l.m., a Duino gli stessi strati spariscono sotto i terreni alluvionali al livello del mare.
In alcuni punti della sua superficie esterna della dorsale, gli strati si sono rizzati addirittura in verticale originando la falesia carsica che possiamo ammirare lungo il sentiero Rilke.

lunedì 8 giugno 2009

Limone del Garda

Il nome Limon appare in alcuni documenti del X secolo con alcune sue trasformazioni in Limonum, Limono e Limone. Il nome di questa cittadina non deriva dai limoni che avevano trovato qui un habitat eccellente per attecchire bensì, probabilmente, dal termine limen (confine) o lima (fiume).
Determinante per lo sviluppo socio-economico-culturale di Limone fu il dominio della Repubblica di Venezia a partire dalla prima metà del XV secolo. Grazie alle capacità amministrative e imprenditoriali della Serenissima, Limone passò da una semplice economia rurale (pesca e coltivazione di ulivi) ad un diverso metodo di sfruttamento del territorio; nacquero così le limonaie nelle cui serre si producevano limoni, cedri e arance che Venezia esportava in tutta Europa.
Ma a Limone c'erano anche altre fiorenti attività: allevamenti di bachi da seta, produzione di carta, calce e magnesia.
Il benessere raggiunto dalla cittadina rivierasca subì un brusco rallentamento quando le vicende della Prima Guerra Mondiale la colpirono pesantemente. Limone venne a trovarsi al confine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-Ungarico e la popolazione venne evacuata per alcuni anni.
Dopo la guerra, Limone venne tagliata fuori dal progresso legato allo sviluppo delle nuove vie di comunicazione in quanto era raggiungibile solo via lago o attraverso scomode strade che scendevano dai monti sovrastanti. Si ritornò così alla coltivazione degli ulivi e alla pesca.
Il 1932 segna la rinascita della città allorquando viene ultimata la bella strada Gardesana Occidentale che la collega comodamente ai paesi limitrofi.
I primi turisti che scendevano dalle fredde regioni del Nord Europa trasformarono questo borgo di pescatori nello splendido centro turistico che possiamo oggi ammirare.
Molteplici sono stati i fattori che hanno influito sul suo sviluppo: la magnifica posizione sul lago,
la morfologia del territorio,
lo sviluppo urbanistico del centro storico, le condizioni climatiche,
la vivacità degli abitanti. In poco più di mezzo secolo sono sorti campeggi, pensioni, locande, alberghi, ristoranti, residence, bar e negozi che popolano il centro storico e che fanno del turismo l'unica attività economica di Limone.
In effetti, tutte le volte che ho visitato questa cittadina ho avuto il piacere di apprezzare la cura che gli abitanti hanno per i turisti; le vie del centro storico sono pulitissime,
le case piene di fiori ai balconi,
le spiagge libere curatissime
e le iniziative in favore degli ospiti mai banali.
Ancora una curiosità. A causa dell'antico isolamento nel quale il borgo è stato chiuso per tanto tempo si è sviluppata una mutazione genetica che ha prodotto, in una buona parte della popolazione locale, una proteina anomala (A-1 Milano) che ha la capacità di ripulire le arterie dal colesterolo e di curare, quindi, l'arteriosclerosi e altre malattie cardiovascolari. In sostanza, gli abitanti di Limone per questa mutazione genetica e per le sane abitudini alimentari godono di aspettative di vita invidiabili.