Translate

Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

sabato 28 febbraio 2009

Neustift nella valle di Stubaital

Prima di rientrare dalla tre giorni in Alto Adige, ho fatto una puntatina in Austria e esattamente nella valle dello Stubaital. Il tempo non era un granché e pertanto la giornata invogliava ad una breve gita.

Per arrivare in questa bella valle è sufficiente attraversare il Brennero sulla statale e proseguire in territorio austriaco in direzione Innsbruck; dopo il caratteristico paese di Matrei am Brenner, sulla sinistra, è possibile notare le indicazioni per lo Stubaital.

Meta della mia gita è stata Neustift.

Secondo comune del Tirolo per estensione, si trova a circa 25 km a sud di Innsbruck, a 1.000 m. sul livello del mare. 

Nel centro del territorio comunale sorge il paese sciistico ed alpestre di Neustift con la sua monumentale chiesa di S. Giorgio. Nel 1516 fu consacrata dal vescovo di Bressanone la prima chiesa di Neustift. Nel 1768 erano iniziati i lavori per l’attuale chiesa, poiché quella originaria era ormai divenuta troppo piccola. Fu il parroco Franz de Paula Penz, uno dei più geniali architetti di chiese del tardo Barocco in Tirolo, che edificò l’imponente edificio. Nel 1812 Neustift divenne una parrocchia indipendente. Dall’esterno la Chiesa rococò di S. Giorgio ha un aspetto semplice, mentre all’interno è sfarzosa e arricchita da affreschi di pittori famosi. La Parrocchia di Neustift è, per grandezza, la seconda chiesa di paese del Tirolo. 

Nel bel cimitero annesso è sepolto il “Parroco del Ghiacciaio” Franz Senn, uno dei fondatori del Club Alpino.

Sulla parte sinistra della valle si trovano i punti panoramici più belli. Alla fine della valle si possono invece notare il grandioso gruppo Pfaffengruppe, il Mair e la Brennerspitze, a sud si ergono su un piedistallo di rocce preistoriche le torri di calco Zwölfspitz che servono a Neustift come un grande orologio solare.

Da numerosi anni Neustift è un posto conosciuto e visitato per gli sport invernali e da dove partono piste di ogni grado di difficoltà.

La sua posizione è ai piedi del ghiacciaio dello Stubai che è la piú grande area sciistica su ghiaccio dell'Austria, aperta tutto l´anno, con innevamento garantito per oltre 100 km di piste da sogno.

In una tipica casa tirolese da guardaboschi si apre il Museo Civico dove è possibile osservare il patrimonio culturale di un tempo, come ad esempio attrezzi agricoli, arnesi e utensili domestici o vecchie foto. Aperto da giugno a settembre il martedì e venerdì dalle 14.00 alle 17.00 (Museo Civico "Forsterhaus" - Kampl, Stubaitalstraße - Tel.: +43 (0) 5226 2376 – Sig. Josef Müller).

Particolarmente interessanti a Neustift sono i masi alpini, i cosiddetti “Schwaighöfe”. Questi, essendo singoli masi abitati in modo stabile, rappresentano il confine superiore dell’insediamento. Sorsero nel XII e XIII secolo, all’epoca in cui il principe regnante allontanava la popolazione in eccesso in quelle zone isolate all’interno delle valli, per coltivare le aree utilizzate già da tempo come pascoli.

Su iniziativa del parroco Eduard Niederwieser fu creato negli anni 1996/97 il sentiero di meditazione all’entrata della valle Pinnistal. Hansjörg Ranalter e Gotthard Obholzer, artisti di Neustift, scolpirono varie figure bibliche che furono collocate lungo il sentiero. Questo percorso di meditazione vuole richiamare il numero maggiore di persone, al di là di ogni confessione e ideologia, e far vivere loro la natura come creazione.

venerdì 27 febbraio 2009

Finalmente è neve!!

Dopo aver tanto a lungo desiderato ritornare a calpestare la bianca coltre nevosa, finalmente due giorni fa è giunto il momento di rimettere ai piedi i pesanti scarponi da sci per azzardare qualche discesa in uno scenario stupendo. Le condizioni climatiche erano perfette: cielo terso, visibilità ottimale, sole vivace ma non caldo. Erano anni che non mi capitava una giornata così.
Teatro delle mie discese sono state le piste di Ladurns in Val di Fleres.
Piste recentemente allargate e ridisegnate, perfettamente innevate senza l'ausilio dei cannoni sparaneve.
Dopo una prima discesa, tanto per saggiare la tenuta delle ginocchia arrugginite, è cominciato il divertimento.
Nonostante si fosse in alta stagione, la giornata dopo il Martedì Grasso vedeva gli impianti di risalita poco affollati e le piste quasi deserte.
E che delizia fermarsi a prendere il sole in una delle baite che punteggiano le piste
assaporando uno strudel di mele caldo con salsa alla vaniglia annaffiato con succo di mela.
Peccato non mi sia potuto concedere più giorni in montagna ma il giorno dopo, comunque, il cielo è tornato a coprirsi per cui mi ritengo fortunato per come sono andate le cose.
Un caro saluto.

domenica 22 febbraio 2009

Lasciate a valle i condizionamenti

Molto spesso, nel nostro girovagare in montagna, ci imbattiamo in personaggi che ci appaiono del tutto fuori posto: penso a chi sale in quota sbuffando in evidente carenza di ossigeno ma che non rinuncia ad avere la sigaretta tra le mani o a quelle gentili signore che si avventurano per sentieri con scarpette ginniche e a volte anche con tacchetti alti, per non parlare dell'eterno squillare di telefonini dalle suonerie improponibili a cui si risponde con finto fastidio.
Francamente, pur nel rispetto delle differenze dei vari comportamenti, continuo a non capire che giovamento traggano tali persone dal frequentare questi luoghi.
Sono dell'idea che, oltre ad una adeguata preparazione fisica, qualunque escursione, anche quella non impegnativa, debba essere preparata anche mentalmente attraverso un approccio filosofico alla cosa.
Facciamo qualche riflessione in proposito.
Liberiamoci delle ansie della quotidianità e lasciamole a casa. Camminare ci aiuta a liberare la mente da stress e problemi, a scaricare l'energia negativa accumulata in città o la lavoro.
Impariamo a vivere in gruppo. Se abbiamo la fortuna di condividere un trekking con compagni di viaggio, accettiamo le dinamiche del gruppo in cui siamo inseriti: i singoli componenti possono anche non piacerci tutti, ma ora ne facciamo parte, e per alcuni giorni impariamo a conviverci. Mettiamo a disposizione del gruppo le nostre conoscenze ed eventualmente le nostre cose, e chiediamo agli altri ciò che ci manca (conoscenze e cose materiali). Informiamo il gruppo delle nostre sensazioni e dei nostri stati d'animo: tenerli per noi non aiuta il gruppo a capire cosa desideriamo. Informiamo la guida dei nostri problemi: se può farà di tutto per risolverli. 
Impariamo ad accettare gli imprevisti. Niente è irrimediabile e durante un trekking gli imprevisti sono all'ordine del giorno e spesso sono cose che a, a distanza, ricordiamo con un sorriso. Perdere un sentiero, arrivare col buio, non trovare viveri là dove ci si aspettava, sono imprevisti che spesso hanno qualcosa da insegnarci.
Non caricare la guida di troppe aspettative. La guida è un professionista a nostra disposizione per risolvere ogni problema, ma, se il trekking non ci coinvolge, se la nostra scelta non è stata sufficientemente motivata e ponderata,  non scarichiamola su di essa, ma  chiediamoci piuttosto perché abbiamo deciso di partecipare, quali erano le nostre aspettative e dove sono venute meno. 
Il trekking richiede un buon spirito di adattamento. Per partecipare ad un trekking occorre sicuramente un buon spirito di adattamento ma se pensiamo che questo ci sia estraneo proviamo ugualmente: se ci appassioneremo, col tempo affineremo in noi stessi la capacità di  adeguarci alle persone, all'ambiente ed alle situazioni come non avremmo mai immaginato!
Non corriamo! Scopriamo la pace interiore della lentezza consapevole, impariamo a camminare con passo lento, guardiamoci intorno, c'è sempre un fiore nuovo, un insetto, un colore che ci stupiranno. Il trekking non è una competizione, anzi il ritmo del gruppo deve adattarsi a quello del più lento.
Scopriamo il silenzio! E' bello il viaggio in gruppo perché si conosce gente nuova, si comunicano esperienze e si approfondiscono gli altri e noi stessi. Durante il cammino riscopriamo anche la bellezza del silenzio, dell'ascoltare il nostro passo, il nostro respiro, i suoni della natura. I compagni di cammino ce ne saranno grati! 
I viaggi a piedi sono utili per imparare a distinguere il superfluo dal necessario. Scopriremo allora che cosa è necessario mangiare e cosa è invece abitudine, si scoprirà cos'è necessario nell'igiene quotidiana, nelle comodità, ecc. Eliminando il superfluo dagli zaini e dalle menti tutto sarà più leggero. 
Se poi il trekking lo compiamo da soli i consigli sono gli stessi anche se è sempre sconsigliabile andare in montagna da soli.
Un caro saluto.

venerdì 20 febbraio 2009

Una notte in montagna


L'anno passato è ricorso il centocinquantennale della nascita di Julius Kugy, pioniere e poeta delle Alpi Orientali e delle Giulie in particolare.
Leggendo questo suo passo dalle suggestive evocazioni, la mente vola lontano, si libra oltre il tempo e lo spazio per perdersi nel magnifico labirinto delle brumose valli che escono dalle tenebre della notte per aprirsi alla luce del nuovo giorno.

Strapiombi di rocce sopra di me e, in una luce fantastica, l'orlo stranamente roso della muraglia di neve, e in alto sopra la fenditura, con sempre mutevoli costellazioni, gli astri migranti.... 

ombre cadenti, da lontano lo scroscio delle acque e, tutt'intorno, l'infinito silenzio.
Così passa la notte montana in un sogno di bellezza.
L'hai guardata mai, riposando nel cuore della montagna, in tutta la sua magnificenza? Sai che cosa può rivelarti, lassù, nel mistero delle altitudini e del tempo, dal tramonto al sorgere del sole che ti riempie di segni e miracoli?
Credi a me, siffatte notti non si dimenticano. Ne si dimenticano gli uomini che ci stanno al fianco.
La mia gente dorme. Nella valle si spengono le piccole luci, una dopo l'altra. La notte passa nel cielo profondo. 
Riposa, anima mia. Ci sono stati disinganni, delusioni e tu ne hai sofferto? Qualcosa ha tradito le tue speranze e i tuoi desideri? Non scorgi nessuna stella nel tuo cielo, nessuna luce che ti illumini? Cerca di pazientare, dimentica! 
Tu guardi nel buio della notte e pensi, con affanno e apprensione, a quanti enigmi di vita, di dolore, di morte sono sospesi nella sua ombra indecifrabile.
Ma presto il sole nascente manderà il suo segnale  infuocato per monti e valli e tutte le ansie e i fantasmi della notte scompariranno senza lasciar traccia  nella gioia del nuovo giorno. Anche per te, anima mia, splenderà un luminoso messaggio, anche per te un lieto risveglio  annuncerà una giornata migliore.

Spera e abbi fiducia. 
                                                    Julius Kugy

giovedì 19 febbraio 2009

L’orso bruno è pericoloso?

Sono tornato in Italia dal Libano per un paio di settimane di vacanza. E' chiaro che il mio pensiero adesso vola alle mie amate montagne e pertanto, nei limiti di tempo che mi sono concessi, riprendo a scrivere qualcosa in proposito.
Chi, come me, frequenta le montagne in passeggiate, molto spesso solitarie, è avvezzo a imbattersi in animali selvatici che le popolano più o meno frequentemente. 
Scoiattoli, marmotte, caprioli, cervi, stambecchi, camosci, aquile e molto più raramente linci, galli cedroni e forcelli aggiungono valore ad una escursione; avvistarli desta meraviglia, restiamo ad ammirarli in silenzio nel timore di spezzare un incantesimo. 
Ma che succede se ci troviamo alle prese con un orso? 
Chi conosce questo splendido animale dice che non è pericoloso; chi non lo conosce racconta cose terribili. Dov'è la verità? Cosa fare in caso di un suo (rarissimo ma possibile) incontro? 
Mi sono posto più volte questo interrogativo e finalmente ho trovato il sito della Provincia di Trento che ne parla diffusamente (www.orso.provincia.tn.it) e dal quale ho tratto alcune utili informazioni che propongo in questo post.
A partire dagli anni sessanta il settore orientale dell’arco alpino è stato ricolonizzato da esemplari provenienti dalla popolazione della vicina Slovenia, probabilmente grazie alla diminuita persecuzione da parte dell'uomo ed al miglioramento degli habitat (forestali) frequentati dall'orso. 
L’immagine dell’orso è normalmente positiva anche per il fatto che molti di noi, nell’infanzia, hanno avuto il proprio orsacchiotto da stringere, hanno ascoltato canzoni, favole e storie sull’orso “buono”. 
Effettivamente non è un animale aggressivo, anche se la grossa mole e la forza fisica lo rendono potenzialmente capace di ferire o uccidere una persona; gli attacchi (rarissimi) non sono comunque mai il risultato di un comportamento predatorio, ma piuttosto di autodifesa. E’ dunque fondamentale conoscere le sue abitudini e il suo comportamento per evitare inutili situazioni rischiose. 
I precedenti confermano la non pericolosità: in Italia, nelle Alpi e negli Appennini, non sono documentate aggressioni deliberate nei confronti dell’uomo negli ultimi 150 anni. In Austria, dove è stata realizzata una immissione di orsi sloveni, tra il 1989 e il 1996 sono stati registrati 516 casi di incontro, tra cui 5 “falsi attacchi”, ma senza alcuna conseguenza.
L’orso bruno non è pericoloso se non in rare e particolari condizioni:
1.  esemplari feriti
2.  femmine con i cuccioli 
3.  esemplari sorpresi su carcasse o altre fonti di cibo
4.  esemplari sorpresi all’improvviso, spaventati
5.  esemplari disturbati in tana 
6.  in generale, esemplari molto confidenti con l’uomo.
E’ importante ricordare che è assolutamente negativo e pericoloso sia per l’uomo che per l’orso cercare di attirare quest’ultimo con esche alimentari allo scopo di osservarlo, fotografarlo o filmarlo. Questo è vietato dalla legge e come tale è sanzionabile. Con questa pratica il plantigrado perde il timore nei confronti dell’uomo, associando anzi la presenza umana alla possibilità di reperire cibo in modo facile. In rari casi succede anche che questi comportamenti siano effettuati in buona fede, nella convinzione di “aiutare” gli orsi. Deve essere chiaro invece che alla lunga questi atteggiamenti finiranno col nuocere gravemente sia al singolo animale sia alla popolazione intera. Un orso che perda il timore verso l’uomo, che si avvicini a fonte di cibo di origine antropica mostrando una sorta di dipendenza, alla lunga verrà catturato e rinchiuso in cattività, nella migliore delle ipotesi, o addirittura abbattuto. 
L’orso è per natura un animale cauto e diffidente, specialmente con l’uomo, suo principale nemico. Quando lo incontra si comporta solitamente in modo schivo e timoroso e, come la gran parte degli animali selvatici, preferisce evitarlo. L’orso non attacca, se non è in qualche modo provocato. Bastano dunque poche semplici norme di comportamento per ridurre al minimo i già di per se improbabili rischi di aggressione.
Se lo si incontra a breve distanza.
Stare calmi e non allarmare l’orso gridando o facendo movimenti bruschi. 
Parlare a voce alta. Se l’orso si alza in piedi e annusa è solo per identificare meglio ciò che lo circonda, non è un segno di aggressività!
Se opportuno, tornare indietro lentamente, non correre. La corsa può indurre un inseguimento, come succede spesso con i cani.
Lasciare sempre all’orso una via di fuga.
Auguro a tutti gli amanti della natura. Buone passeggiate.

domenica 15 febbraio 2009

Il Castello del Mare di Sidone

A chi percorre la strada che costeggia il mare di Sidone non può sfuggire di certo un piccolo gioiello architettonico dalle antiche suggestioni. Un castello costruito in mezzo al mare che la notte sembra fluttuare nel nulla.
Situata a 45 km a Sud di Beirut, Sidone (Saida in arabo) è la maggiore città del Libano meridionale. 
Secondo la Bibbia venne fondata da un bisnipote di Noè; nel XV sec. a.C. era, insieme a Tiro, uno dei più importanti porti fenici, sede di ricchi commerci tra cui quello celebre della porpora, una sostanza colorante preziosa estratta dalla conchiglia di un mollusco del genere Murex. 
Nel 1110  fu conquistata dai Crociati di Baldovino I che consideravano il suo porto strategico per gli sbarchi ed il successivo avanzare verso la Terra Santa. Rimase sotto il governo dei Cavalieri Templari fino alla fine del XIII sec. 
Oggi di questa parte tormentata della sua storia rimane il Castello del Mare (Qal'ah al-bahr) edificato nel 1228, imponente e ben conservata fortezza crociata costruita su un isolotto a difesa del porto, che ingloba nelle sue mura elementi di colonne romane. 
Questa fortezza,comunque, non impedì ai Mamelucchi di riconquistare, nel 1291, Sidone insieme a Tiro e Acri.
Il castello era collegato alla riva con un ponte in parte fisso e in parte mobile. Solo il pilone a nord, il più vicino al castello, è originario; le altre due pile a rostro, distrutte da una tempesta nel 1936 sono contemporanee come la parte del ponte vicino alla riva. Questa costruzione, ralizzata con materiali sottratti a monumenti antichi, fu realizzata in tempi diversi fra il 1227 e il 1291.
Il suo stato attuale presenta importanti interventi che risalgono all'epoca mamelucca, particolarmente nella torre a ovest. 
Quanto alla piccola moschea attigua alla cappella crociata, si può attribuire all'epoca ottomana e deve essere posteriore al 1840, data del bombardamento del castello da parte della marina britannica.

sabato 14 febbraio 2009

Valentina

Approfitto di questo spazio per fare gli auguri a mia figlia Valentina, a tutti gli innamorati (non importa di chi o di cosa) e a chi ancora crede che valga la pena condividere un pezzo di cuore con qualcuno cui si vuole bene.
Un rapido cenno alla storia di S. Valentino: egli nacque a Terni nel 175 d.C. Nella provincia umbra si dedicò alla predicazione del Vangelo ed alla conversione dei pagani, mentre nell'Impero Romano non cessavano le terribili persecuzioni contro i Cristiani.
Si narra che il miracolo, che portò Papa San Feliciano nel 197 a consacrare Valentino il primo vescovo di Terni, fu anche lo stesso che porto il Santo ad essere perseguitato da Roma: il celebre oratore ateniese Cratone, avendo un figlio storpio, decise di contravvenire ai principi della religione pagana ammettendo il Santo in casa sua. La fiducia dimostrata fu ben ricompensata perchè, con le preghiere  Cratone vide guarire suo figlio. 
Dopo aver assistito a tale miracolo, l’oratore ateniese volle far battezzare se e tutta la sua famiglia. Anche i suoi discepoli Proculo, Efebo, Apollonio e Abondio decisero di seguire le orme del maestro divenendo cristiani. Abondio però era il figlio del prefetto di Roma durante l'impero di Marco Aurelio Claudio e di Valeriano Aureliano. Il prefetto molto attaccato ai principi della religione pagana, fu molto indispettito dalla scelta improvvisa del figlio e perciò nel 270 d.C. fece uccidere il maestro (Cratone) al quale l'aveva affidato per fargli apprendere l'eloquenza e la filosofia dei principi morali pagani. 
Nello stesso anno, Valentino fu arrestato a Roma e condotto al cospetto dell'Imperatore Claudio, che cercò di indurlo a rinnegare la propria fede e ad adorare i riti pagani, senza risultati. L’imperatore rispettando, comunque il Santo, decise di affidarlo a una famiglia di nobili romani, dove San Valentino compì un prodigio ridando la vista alla figlia ceca del nobile. Questo atto miracoloso indusse la famiglia della fanciulla a convertirsi al Cristianesimo, e molti altri romani seguirono il suo esempio. 
Valentino in vita ebbe molto a cuore il destino degli innamorati, che in lui trovarono sempre un consigliere fidato ed un amico sincero. 
Il motivo che portò il Santo al secondo arresto fu la celebrazione del matrimonio tra un pagano e una cristiana. Il vescovo fu perseguitato e catturato dai soldati romani che sapendo quanto egli fosse amato dai credenti dovettero flagellarlo lungo la Via Flaminia, lontano dai centri abitati per non andare incontro ad una ribellione. 
San Valentino morì il 14 febbraio 273 a.C. con l’accusa di avere sostituito l'antico rito pagano della festa della fertilità con la festa degli innamorati. 
Ancora auguroni.

domenica 8 febbraio 2009

Non facciamo finta di nulla...

Questo dovrebbe essere un titolo dei giornali… non la spazzatura che ci propinano ogni giorno!
È una storia dura ma che riscalda il cuore… con una foto di John Gebhardt in Iraq.
La moglie di John Gebhardt, Mindy, ha detto che l’intera famiglia di questa piccola bambina è stata sterminata. Gli insorti volevano uccidere anche la bambina e così le hanno sparato alla testa… ma non ci sono riusciti. È stata curata nell’ospedale di John e adesso sta guarendo ma continua a piangere e a lamentarsi. Gli infermieri hanno detto che John è l’unico che sembra riuscire a calmarla per cui John ha passato quattro notti tenendola in braccio mentre tutti e due dormivano su quella sedia. La bambina continua a migliorare. John è un vero eroe di guerra e rappresenta ciò che il mondo occidentale sta cercando di fare. 
Questo, amici, merita di essere condiviso con il mondo! Fatelo! Non vedrete mai cose del genere al telegiornale. Fatelo girare. Se non lo fate non succede nulla ma la gente ha bisogno di vedere foto come questa e di rendersi conto che non tutto è marcio a questo mondo. 
Anche se si tratta semplicemente di una piccola bambina per volta.

lunedì 2 febbraio 2009

Jounieh e Beirut by night

Ancora un viaggio per Beirut. 
Parlo di viaggio perché tale è... anche se poco più di 100 chilometri mi dividono dalla capitale del Libano. 
Insieme al mio team e ad altri amici, per motivi di sicurezza, partiamo  prestissimo (alle 5) quando il cielo è ancora buio e le stelle dormono dietro pesanti coltri di nubi. Ci troviamo nell'interno del Libano meridionale a circa 800 mt. di quota; anche se potrà sembrare strano, fa freddo... un freddo umido che ti penetra nelle ossa. La sera precedente avevamo predisposto in ufficio il bollitore per prepararci un the bollente ma ci accorgiamo di esserci dimenticati lo zucchero per cui ci infiliamo nelle macchine e partiamo senza indugio. 
Rare sono le macchine che incrociamo per strada mentre con una certa frequenza ci troviamo a salutare i componenti delle varie pattuglie italiane di UNIFIL che controllano il territorio giorno e notte sui familiari blindati bianchi. 
Superiamo Tiro con il mare immerso nell'oscurità che immaginiamo placidamente disteso alla nostra sinistra; attraversiamo il Litani (Leonte) e raggiungiamo Sidone (Saida) percorrendo un lungomare addormentato con la grande moschea illuminata a giorno ed il pittoresco Castello del Mare nella penombra in splendido isolamento su un lembo di terra strappato al mare.
Proseguiamo velocemente e dopo poco meno di 70 chilometri di autostrada giungiamo a Beirut; è ormai giorno e la città e già in pieno fermento. Ci immergiamo nel traffico e il nostro Nasser ci guida verso un chiosco per una robusta colazione. Tutti prendiamo le "manakiche", le tipiche pizze libanesi nella versione al timo o al formaggio. La temperatura ora si è fatta piacevole e mentre godiamo della colazione appena sfornata osserviamo il caotico affannarsi di persone e veicoli diretti verso il vicino centro.
Abbiamo un impegno presso la nostra Ambasciata nel pomeriggio pertanto dopo una breve consultazione, dove ognuno dice una cosa diversa dall'altro, prendo la decisione di andare a visitare Jounieh a nord di Beirut; mi pare di cogliere alcune occhiate di disappunto da parte di Barbara e di altre due ragazze che avrebbero preferito restare in città magari per dello shopping ma, ignorandole, si parte verso la nuova meta (è bello essere un capo!).
Per uscire da Beirut dobbiamo affrontare un traffico allucinante e impieghiamo circa un'ora per percorrere i 15 chilometri che ci separano da Jounieh. 
Questa citta conserva l'impronta del passato col suo vecchio souk in pietra. La strada principale è fiancheggiata da entrambe le parti da caffè e ristoranti, botteghe, negozi e laboratori d'artigianato, banche, supermercati ed hotel di ogni categoria. Ma non è il centro cittadino l'oggetto del mio interesse; voglio visitare il sito su cui si erge il santuario di Nostra Signora del Libano, un'attrazione che seduce sia libanesi che turisti. Prendiamo a destra (indicazioni per Harissa) per una ripida strada panoramica che risale il costone roccioso che incombe imponente sulla città e dopo numerosi tornanti arriviamo ad un ampio parcheggio dove lasciamo le macchine. 
Veniamo subito disturbati dall'orribile struttura moderna del santuario che ha veramente poco a che vedere con la piacevolezza del sito. 
Noi, invece, ci dirigiamo verso la vicina statua della Madonna del Libano che si innalza sulla collina di Harissa. Un bel piazzale,  impreziosito dai celebri cedri del Libano, circonda una piccola cappella dalla forma conica sul cui vertice è eretta l'imponente statua. Percorrendo una scala a spirale è possibile giungere fino alla base del monumento. 
Da qui la vista che si gode sulla sottostante baia è qualcosa di indescrivibile, peccato che il tempo sia in peggioramento e lo sguardo non riesce a spingersi fino a Beirut. 
A poche centinaia di metri si staglia la bella sagoma della chiesa greco-ortodossa di San Salvatore costruita sui resti di un tempio romano dedicato a Serapide. 
La piacevolezza di quest'oasi di pace e tranquillità ci spinge a trattenerci a lungo ammirando le forme dei cedri e la struttura della città dall'alto. 
E' possibile arrivare fin quassù con una bella cabinovia che parte dal centro di Jounieh.
Avevo intenzione di proseguire per visitare il sito archeologico di Byblos ma la pioggia che comincia a cadere e gli atteggiamenti poco entusiastici delle donne che sono con noi mi spingono a rivedere i programmi e quindi ripieghiamo per rientrare a Beirut.
Altra ora di coda e siamo nel centro della città; parcheggiamo in tripla fila e ci infiliamo nel lussuoso centro commerciale ABC dove regna silenzio e tranquillità. 
Finalmente, tra i miei, vedo alcuni visi trasformarsi in entusiastiche espressioni (le femminucce) mentre altri virano verso una noia rassegnata (i maschietti). E' veramente difficile mettere d'accordo tutti. Ad ogni modo, dopo un, tutto sommato, piacevole giro dove l'unico acquisto è stato una scatola di costosi cioccolatini acquistati da Barbara, ci mettiamo alla ricerca di un ristorantino dove pranzare. Decidiamo per Nando's, un posto dove fanno cucina portoghese sotto una bella cupola in vetro all'ultimo piano del centro. Marco ed io diamo spettacolo divorando razioni industriali di pollo cucinato in maniera eccellente.
Nel pomeriggio siamo tutti invitati in Ambasciata per un evento mediatico; qui abbiamo appuntamento con l'amica giornalista Valeria che però rimane bloccata da un violento nubifragio che manda in tilt il già disordinato traffico cittadino.
Quando usciamo dalla bella sede della nostra rappresentanza diplomatica che domina Beirut dall'alto, il temporale è cessato e comincia ad imbrunire. 
Valeria ci da appuntamento al Caffè degli Specchi in Rue Gemeizeh, uno storico locale molto ben frequentato nel quartiere cristiano. Qui, immersi in una accogliente atmosfera cosmopolita facciamo tavolata e pensieri e discorsi spaziano sulla situazione politica libanese, sulle prossime elezioni, su quello che succede in Italia e su cose più frivole. Da provare in questo locale la limonata e menta... veramente deliziosa. 
Salutata Valeria, ci dirigiamo a piedi verso la vicina e moderna Moschea Mohamad Al Amine splendidamente illuminata nella animata sera di Beirut. 
E' davvero uno spettacolo e rimaniamo incantati dalla sua imponenza e dall'eleganza dei suoi minareti. 
Ci avviciniamo timidamente ad una delle sue entrate dove un custode ci dice ce possiamo entrare ma le donne devono restare fuori (!) decidiamo allora solo di affacciarci per osservare l'unico, immenso ambiente tutto coperto da tappeti e dominato da un enorme e spettacolare lampadario in cristallo. Incantevole!
Si è fatto tardi e la strada del rientro ci attende per cui raggiungiamo le macchine e poniamo fine alla prima piacevole giornata di turismo da quando siamo qui in Libano.