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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

mercoledì 9 dicembre 2020

I ćevapčići

Uno dei piatti più popolari nel Carso ha origini slavo-balcaniche: i celebri ćevapčići. Diffusi, oltre che nelle provincie di Trieste e Gorizia, in quella di Udine, in Slovenia, Croazia e nelle zone dell'Austria confinanti con la ex Jugoslavia.
Si tratta di piccole salsicce di carni miste (maiale, manzo e agnello a seconda della zona di provenienza) molto speziate e leggermente piccanti, dal colore rossastro per la presenza della paprika. I cevapcici sono i protagonisti nelle locande carsoline e vengono generalmente cotti su piastra o griglia o anche in padella e accompagnati da cipolla bianca fresca cruda e salsa Ajvar, una salsa (dolce, piccante o molto piccante) a base di peperoni, melanzane e peperoncini.
Pare che i ćevapčići vennero preparati per la prima volta a Belgrado nella seconda metà del XIX Sec.nella trattoria "Da Tanasko Rajić" nei pressi dell'attuale Piazza degli Studenti, all'epoca sede del Grande Mercato.
Oltre che nelle trattorie e ristoranti è possibile trovare queste gustose preparazioni nelle macellerie e nei supermercati locali.
Ogni volta che torno i questi luoghi mi concedo un bel piatto di questi saporitissimi ćevapčići!
Un caro saluto.

martedì 17 novembre 2020

L'Abbazia di Rosazzo

In una soleggiata mattina di maggio, libero da impegni e in completa solitudine, decido di andare a visitare l'abbazia di Rosazzo.
Per arrivarci, provenendo dalle direttrici Trieste o Udine, occorre passare da Manzano, capoluogo del distretto industriale della sedia. Giunti alla rotonda con l'enorme monumento alla sedia (purtroppo demolita nel 2016), 
prendo la prima uscita a destra e procedo fino al ponte sul Natisone dopo il quale svolto a sinistra sulla Provinciale 49 fino al bivio per Rosazzo; da qui seguendo le indicazioni arrivo alla mia meta.
Ubicata sulla sommità di un colle che sovrasta la zona circostante, l'Abbazia di Rosazzo è uno dei principali monasteri incastellati del Friuli che un tempo controllava l'importante via di comunicazione tra Cividale e Gorizia. 
Dall'immagine aerea che segue (tratta da ilpais.it) si può apprezzare la posizione strategica sulla quale è stato edificato il complesso.
Le sue origini si perdono nel lontano passato; secondo una ipotesi fu fondata dal Patriarca Enrico nel 1084 mentre altri documenti fanno risalire la fondazione del complesso monastico all'epoca del Patriarca Sigeardo (1068-1077).
La chiesa dedicata a S. Pietro fu edificata nel 1070, mentre nel 1090 il monastero divenne abbazia e l'anno successivo i primi monaci della Carinzia, provenienti da Millstadt, vi introdussero la regola di S.Benedetto; i religiosi provvedevano anche all'annesso ospedale di Sant'Eligio che accoglieva indigenti e lebbrosi.
Durante il medioevo l'abbazia aumentò la sua importanza sia per le funzioni di guida spirituale che per quelle legate all'attività economica e solo più tardi, con gli scontri tra Aquileia e Cividale e tra la Serenissima e gli Imperiali, venne trasformata in struttura difensiva con una sua cinta muraria, torri di guardia e proprie truppe.
Luogo incantevole, strategico, adatto alla meditazione e meta di pellegrinaggio, fornì al suo abate una notevole autorità sul Parlamento della Patria del Friuli.
Durante la guerra del 1361 contro i Duchi d'Austria Rodolfo e Federico, l'Abate Raimondo difese vittoriosamente il complesso abbaziale.
In quel periodo buio subì comunque distruzioni nel 1386 e nel 1389 e fu occupata dai Veneziani nel 1420. Dopo 300 anni, i benedettini lasciarono l'abbazia che dal 1423 fu retta da abati commendatari;  a partire dal 1522 i Domenicani vi si insediarono per quasi due secoli e mezzo.
La nomina dell'abate fu sempre un titolo ambito, al punto che negli anni 1413 e 1418 venne conteso da tre ecclesiastici contemporaneamente, mentre nel 1422 il patriarca Lodovico di Teck si impadronì del luogo alla testa di circa quattromila Ungari.
Nel 1440 il comune di Cividale, interessato alla struttura fortificata, riuscì a imporre all'abbazia un suo capitano, con compiti di difesa.
Durante la guerra della Lega dei Cambrai, nel 1509 il monastero fu posto sotto assedio dagli Imperiali guidati dal Duca di Brunswick in lotta contro la Repubblica di Venezia e in questa circostanza subì gravi distruzioni. 
Solo nel 1533, grazie all'Abate Giovanni Matteo Giberti e all'architetto Venceslao Boiani, iniziò la rinascita dell'intero complesso così come è possibile ammirarlo ancora oggi.
Nel 1751 una bolla papale, sopprimendo il Patriarcato di Aquileia, costrinse i Padri Domenicani ad abbandonare l'abbazia. Da allora, il complesso religioso è possedimento dell'Arcivescovo di Udine, che qui stabilì, nel 1823, la sua residenza estiva.
Dell'antica opera castellana, oggi rimangono solo le mura fortificate di nord-ovest con la torre trecentesca e tratti della cinta muraria. 
Di particolare interesse sono l'antico chiostro del '500, 
la chiesa di S. Pietro dell'architetto cividalese Venceslao Boiardi
con i suoi splendidi soffitti con travi a vista.
Nell'ex-refettorio ci accoglie una Crocifissione del veronese Battista dell'Angelo.
I giardini sono un tripudio di antiche specie di Rose;
a tal fine occorre ricordare che il nome Rosazzo deriva dalla presenza di roseti selvatici talmente fitti e belli che già nel lontano 1161 la località fu chiamata Monasterium Rosarum.
All'interno della struttura la Sala della vite e dell'uva, situata al piano terra del complesso e affacciata direttamente sul chiostro, risulta piuttosto suggestiva anche grazie agli affreschi seicenteschi, al pavimento in terrazzo veneziano e alle travi a vista. Sul lato meridionale si apre un poggiolo
che nelle giornate serene regala una vista mozzafiato sugli abitati di Cormons, Manzano e più oltre fino al mare.
L'Abbazia di Rosazzo è stata produttrice di ottimi vini fin dai tempi più remoti e anche grazie ad essi ha potuto accrescere la sua fama. Ad esempio, nella lista delle vivande per il  pranzo che il Comune di Cividale organizzò il 6 giugno 1409 in onore di Papa Gregorio II, risulta la Ribolla dell'Abbazia.
Nel 1980, Walter Filipputti ottenne in concessione dall'Arcidiocesi di Udine i vigneti da tempo abbandonati  che, restaurati e valorizzati con le varietà autoctone come il Pignolo, il Picolit e la Ribolla Gialla, daranno vita all'azienda agricola I Vinai dell'Abate. Tali vigneti fanno parte dell'area d.o.c. dei Colli Orientali del Friuli. 
L'azienda possiede due cantine: quella della vinificazione, che da sul cortile della chiesa e quella dell'invecchiamento, originale cantina dell'abbazia, usata per secoli dai monaci (la più antica della regione).
Dopo aver acquistato qualche buona bottiglia, e dato ancora un'occhiata alle profumate rose,
torno all'auto per dirigermi verso uno dei tanti eccellenti ristoranti della zona.
Un caro saluto.

sabato 10 ottobre 2020

Castel Drena

Poco a nord di Riva del Garda, superata anche la città di Arco e l'abitato di Dro, sorge un suggestivo castello medievale che prende il nome dal comune sul cui territorio insiste: Castel Drena. 
Alto sulla profonda gola del Rio Salagòni, era posto a vedetta della strada che collegava la piana del Sarca con la Valle di Cavedine e in collegamento (tramite segnalazioni ottiche) con il Castello di Arco a sud e con quello vicino di Madruzzo a nord.
Cominciando a salire, in compagnia di mia figlia, sulla strada che porta da Dro a Drena, si staglia contro il cielo una compatta muraglia dalla quale svetta agile e isolata la torre del mastio.
Dal parcheggio che fiancheggia la strada provinciale 84 abbiamo, invece, una visuale dei danni subiti dal maniero durante la guerra di successione spagnola di cui scriverò in seguito.
Saliamo al castello percorrendo una suggestiva strada selciata fino alla torre di guardia  terza porta del XVI Sec. oltre la quale si accede alla struttura difensiva attraversando la cinta muraria ghibellina.
Il castello, a cui vengono erroneamente attribuite origini romane (Arx Dianae, Arx Dedria), è menzionato per la prima volta nel 1175 in occasione della sua vendita ai Signori di Arco da parte dei Signori di Sejano.
Posto su un originario castelliere comunitario dell'età del bronzo, è precursore dellla successiva diffusione del fenomeno castellano con funzioni di difesa e amministrazione della giustizia.
Tra rocce affioranti dal suolo, accediamo alla corte d'arme seconda porta.
A sinistra tracce della torre angolare prima porta (XV Sec.) mentre poco oltre le scuderie e i magazzini del XVI Sec. Suggestivi i resti del quattrocentesco Palazzo Comitale.
Ancora possiamo vedere i resti della cisterna con una volta a botte in pietra e una casa murata del XII-XIII Sec.
Le tracce di una piccola chiesa dedicata a San Martino (culto seguito all'espansione dei franchi) documentano un'attiva frequentazione già in epoca carolingia (IX-X sec.). Un'area cimiteriale cingeva all'esterno questa prima costruzione in muratura sorta sulla collina; poi l'impianto venne modificato con la feudalizzazione della zona.
Al centro l'imponente mastio (25 m.) in pietra bugnata risalente al XII Sec.
Caratteristica la sua fattura: pochissime le aperture, costituite principalmente da feritoie e da strette porte alte dal suolo, probabili collegamenti con edifici adiacenti. Quattro finestre ne segnano la sommità fatta di massicci merli ghibellini anch'essi, raggiungibili attraverso scale e cunicoli. Nello spessore del muro (1,5 m.) trovano posto alcune sedute che ne fanno presupporre un suo utilizzo quale abitazione in caso di assedio. Saliamo sulla cima del mastio attraverso scale prima di legno
e poi in pietra (attenzione alla testa nell'ultimo tratto); 
alla sommità, attraverso i merli ghibellini
si gode uno splendido panorama sulla vallata del Basso Sarca, dove le colture e il clima alpino ben si fondono in quelle più tipicamente mediterranee mentre a nord lo sguardo spazia sulla Valle di Cavedine.
Visibile, inoltre, la strada che abbiamo percorso per giungere al fortilizio
che sale attraversando il suggestivo deserto delle Marocche, risultato di un fenomeno glaciale che ha portato alla formazione di una distesa di macigni calcarei di oltre 187 milioni di metri cubi di volume. 
Dalla parte opposta il pacifico paese di Drena.
Anche in questo castello le truppe del Generale Vendòme saccheggiarono ed incendiarono la ricca parte residenziale quattrocentesca (1703). Da allora fu abbandonato fino al suo acquisto, assieme alla collina, da parte del comune di Drena, nel 1983.
Recenti lavori di restauro, promossi dalla Provincia Autonoma di Trento, hanno ridato luce, storia ed emozioni all'antico maniero.
Purtroppo nel giugno del 2018, venti metri del muro di cinta sono crollati senza provocare danni alle persone.
Attualmente è sede di un museo archeologico. Una suggestiva lizza, che ne fiancheggia un lato, si offre quale ambito palcoscenico per rappresentazioni e momenti culturali.
Il castello è visitabile da marzo a ottobre, dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18; negli altri mesi è aperto solo sabato e domenica dalle 10 alle 17 al costo di 4 Euro (ridotto 3 Euro). Il mese di gennaio rimane chiuso.
Un caro saluto!

sabato 26 settembre 2020

La Barcolana

A Trieste, da oltre mezzo secolo, si tiene una manifestazione velica unica al mondo per numero di partecipanti (da primato) e per le modalità di partecipazione: la Barcolana.
Oltre duecentomila spettatori, più di duemila imbarcazioni, circa ventimila uomini d'equipaggio; sono i numeri della Barcolana, la storica regata velica internazionale che, dal 1969, attira ogni seconda domenica d'ottobre a Trieste migliaia di appassionati.
Roberto Di Giorgio
Giunta quest'anno alla 52^ edizione, la Barcolana è un evento che non è soltanto sport, ma anche cultura e costume, capace di attrarre un gran numero di turisti nella città giuliana durante la settimana che precede la regata finale che è costellata di gare veliche minori, concerti, conferenze, mercati, fuochi d'artificio e tanto altro. 
Il percorso della Regata internazionale si snoda lungo 15 miglia, con partenza spettacolare generalmente fissata tra il Castello di Miramare e la Società Velica di Barcola e Grignano
plusmagazine.news
e l'arrivo posizionato davanti a Piazza Unità.
Roberto Di Giorgio
Alla gara partecipano velisti professionisti e amatoriali. 
Roberto Di Giorgio
Se anche la Bora, vento che spazza spesso il golfo, decide di partecipare alla manifestazione allora lo spettacolo è assicurato
Roberto Di Giorgio
e la visibilità garantita a tutti i presenti che assistono all'evento dalle rive o, ancora meglio, dalle alture che fanno da corona a Trieste.
Roberto Di Giorgio
Per concludere, vi propongo un gran bel video che sintetizza cosa rappresenta la Barcolana per i Triestini e gli appassionati di vela.
Un caro saluto.

domenica 6 settembre 2020

Passo Rolle - Pale di San Martino

Di ritorno dalla Val di Fiemme in direzione Belluno, ci siamo trovati a transitare per il paradisiaco Passo Rolle. In una giornata calda e tersa come poche in questa estate abbiamo percorso in macchina la Strada Statale 50 che ci ha portati alla quota di  1980 metri.
Roberto Di Giorgio
Il paesaggio è quello tipico di alta montagna con pascoli, baite, mucche, malghe e chiesetta 
Roberto Di Giorgio
ma quello che da altre parti non c'è è l'impressionante colpo d'occhio sulle imponenti Pale di San Martino.
Roberto Di Giorgio
Parcheggiata l'auto abbiamo vagabondato piacevolmente per il minuscolo borgo che è sorto su questo passo dolomitico.
Roberto Di Giorgio
Siamo nel Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino, nella porzione più orientale del Trentino, in un territorio che, pur contenuto nei suoi quasi 20.000 ettari, presenta una varietà naturalistica  e paesaggistica notevolissima distribuita tra i 1074 metri della Val Canali e i 3192 metri della Vezzana (la più alta cima delle Pale di San Martino). Un mosaico di valenze ambientali tutelato da oltre mezzo secolo che la natura ha distribuito a cavallo tra il Primiero e la Val di Fiemme.
Ci circonda la grande foresta demaniale di abete rosso di Paneveggio; la foresta dei violini che da secoli fornisce legname pregiato ai maggiori maestri artigiani specializzati nell'arte della liuteria.
Più su, in controluce e in contrasto con il cielo luminosissimo si stagliano le celebri Pale di San Martino  schierate in un magnifico anfiteatro con il Cimon della Pala che raggiunge la bellezza di 3186 metri. 
Roberto Di Giorgio
Questo gruppo montuoso, che qualcuno considera il "cuore" delle Dolomiti, è l'esempio per eccellenza di quelle antiche piane tidali ove per milioni di anni, generazioni di microrganismi imprigionati fra i fanghi calcarei preparavano uno dei maggiori monumenti naturali del mondo, oggi regno del camoscio e dell'aquila reale.
Roberto Di Giorgio
Restiamo a lungo rapiti da tanta selvaggia bellezza prima di ritornare all'auto per scendere dal Passo Rolle alla volta di San Martino di Castrozza.
Un caro saluto.

giovedì 13 agosto 2020

Latemar

L'escursione di oggi ci porta sull'Alpe di Pampeago al cospetto della meravigliosa isola fossile del Latemar.
Dalla frazione di Stava, comune di Tesero nella verde Val di Fiemme ove siamo alloggiati, prendiamo l'auto e con una breve salita giungiamo agli impianti di risalita di Pampeago a quota 1757 metri dove, sfruttando un coupon datoci in hotel acquistiamo a soli € 14 i titolo di viaggio per gli impianti a fune di tutta la valle per l'intera durata del nostro soggiorno.
La giornata è splendida e in breve siamo seduti sulla funivia che ci porta al Rifugio Monte Agnello a quota 2180 metri.
Il panorama è reso incantevole dall'aria eccezionalmente limpida per un vento teso che ristora. 
Il sentiero che abbiamo in animo di percorrere si sviluppa a sinistra del rifugio ma prima sostiamo nei suoi pressi per goderci il paesaggio circostante.
In particolare il Latemar ci rapisce subito per la sua bellezza isolata e austera. 
Dopo qualche foto di rito ci mettiamo in cammino.
Il sentiero si sviluppa, con piacevoli saliscendi, lungo un vero e proprio giardino di fioriture multicolori. Giungiamo dopo mezz'ora ad un impianto di risalita chiuso perché asservito ad una pista da sci. Nei pressi un bacino artificiale destinato ad alimentare i cannoni spazzaneve in inverno e con funzioni antincendio in estate. 
Da qui il sentiero n. 515 perde quota puntando verso nord.
Si superano alcuni saliscendi; il luogo è poco frequentato per cui ci godiamo appieno questa escursione.
Sul percorso incontriamo un piccolo gregge.
Il sentiero è corredato di numerosi cartelli che spiegano l'evoluzione geologica di questo interessante sotto-gruppo dolomitico. 
Ogni scusa è buona per fermarci e riempirci l'animo di tanta bellezza.
Raggiungiamo infine il Passo Feudo aperto sull'Alpe di Pampeago a 2200 m. s.l.m. 
Da qui passa il confine con l'Alto Adige. Ci si può arrivare anche con la funivia che parte dal paese di Predazzo.
Siamo ai piedi del Latemar.
Giriamo attorno al rifugio incantati per tanta bellezza con vedute straordinarie sul Lagorai e le Pale di San Martino.
Decidiamo di fare una sosta alla baita Passo Feudo
di proprietà della Regola Feudale di Predazzo.
Ci sediamo comodi io ordino un "caffè confuso", una vera delizia.
Terminata la sosta decidiamo di tentare la salita al Rifugio Torre di Pisa proprio sulla cresta del Latemar. 
Il cartello indica un'ora e mezza di cammino; le forze ancora ci assistono per cui cominciamo a salire per il sentiero n. 516.
Saliamo, all'inizio in maniera decisa e poi più dolcemente, in mezzo a un pascolo fiorito.
Il Rifugio Torre di Pisa fa capolino guardando in alto. Visto da sotto, sembra in bilico sulla cima; appare vicino ma è solo l'effetto dello zoom della mia fotocamera.
Sul primo tratto di sentiero si incontrano gli omeneti: classici segnavie di sassi fatti dagli escursionisti  per segnalare il percorso in caso di nebbia.
Continuiamo a salire in mezzo al verde.
Ci avviciniamo al primo tratto di sassi e rocce raggiungendo un bivio con il sentiero n. 22 che sale dalla Mayer Alm.
Ci teniamo sul  516 che, purtroppo, è interrotto per dei lavori in quota; per proseguire dobbiamo affrontare un ripido declivio erboso. Con fatica riusciamo a superare l'interruzione e guadagniamo una sella erbosa.
Stanchi ci fermiamo per una sosta e per fare il punto della situazione. La deviazione non prevista ci ha provati; camminiamo da più di quattro ore e dobbiamo rifare tutta la strada in senso inverso per essere alla funivia di Monte Agnello prima delle 17,15 onde evitare di trovarla chiusa. L'ultimo sguardo al rifugio, che appare ancora lontano, ci fa optare per il rientro.
Dopo esserci riposati riprendiamo il cammino in senso inverso.
Giungiamo al Passo Feudo dove ci fermiamo ad osservare il panorama da un belvedere mozzafiato.
Qui facciamo un incontro con un grano alpino che si lascia cullare dalle correnti ascensionali molto vicino a noi.
Riprendiamo il cammino del ritorno; purtroppo le salite non sono terminate.
Il gregge che abbiamo incontrato all'andata ha cambiato posto rifugiandosi all'ombra di una baracca. Un animale più audace degli altri cerca, con scarso successo, di scambiare due chiacchiere con noi.
Proseguiamo e raggiungiamo il bacino artificiale.
Oramai il più è fatto. Procediamo per comodo sentiero con vista sulle splendide montagne circostanti.
Giungiamo alla funivia con un leggero anticipo per cui ne approfittiamo per un ultimo sguardo al Latemar.
E' veramente tutto. Prendiamo la funivia per ritornare a valle.
Una breve sosta presso una piccola cappella li vicino
e poi in macchina verso il nostro albergo dove ci attende la spa per coccolarci.
Un caro saluto.
Cartografia di riferimento: carta topografica per escursionisti Ed. Tabacco Foglio nr. 014