Molto spesso, nel nostro girovagare in montagna, ci imbattiamo in personaggi che ci appaiono del tutto fuori posto: penso a chi sale in quota sbuffando in evidente carenza di ossigeno ma che non rinuncia ad avere la sigaretta tra le mani o a quelle gentili signore che si avventurano per sentieri con scarpette ginniche e a volte anche con tacchetti alti, per non parlare dell'eterno squillare di telefonini dalle suonerie improponibili a cui si risponde con finto fastidio.
Francamente, pur nel rispetto delle differenze dei vari comportamenti, continuo a non capire che giovamento traggano tali persone dal frequentare questi luoghi.
Sono dell'idea che, oltre ad una adeguata preparazione fisica, qualunque escursione, anche quella non impegnativa, debba essere preparata anche mentalmente attraverso un approccio filosofico alla cosa.
Facciamo qualche riflessione in proposito.
Liberiamoci delle ansie della quotidianità e lasciamole a casa. Camminare ci aiuta a liberare la mente da stress e problemi, a scaricare l'energia negativa accumulata in città o la lavoro.
Impariamo a vivere in gruppo. Se abbiamo la fortuna di condividere un trekking con compagni di viaggio, accettiamo le dinamiche del gruppo in cui siamo inseriti: i singoli componenti possono anche non piacerci tutti, ma ora ne facciamo parte, e per alcuni giorni impariamo a conviverci. Mettiamo a disposizione del gruppo le nostre conoscenze ed eventualmente le nostre cose, e chiediamo agli altri ciò che ci manca (conoscenze e cose materiali). Informiamo il gruppo delle nostre sensazioni e dei nostri stati d'animo: tenerli per noi non aiuta il gruppo a capire cosa desideriamo. Informiamo la guida dei nostri problemi: se può farà di tutto per risolverli.
Impariamo ad accettare gli imprevisti. Niente è irrimediabile e durante un trekking gli imprevisti sono all'ordine del giorno e spesso sono cose che a, a distanza, ricordiamo con un sorriso. Perdere un sentiero, arrivare col buio, non trovare viveri là dove ci si aspettava, sono imprevisti che spesso hanno qualcosa da insegnarci.
Non caricare la guida di troppe aspettative. La guida è un professionista a nostra disposizione per risolvere ogni problema, ma, se il trekking non ci coinvolge, se la nostra scelta non è stata sufficientemente motivata e ponderata, non scarichiamola su di essa, ma chiediamoci piuttosto perché abbiamo deciso di partecipare, quali erano le nostre aspettative e dove sono venute meno.
Il trekking richiede un buon spirito di adattamento. Per partecipare ad un trekking occorre sicuramente un buon spirito di adattamento ma se pensiamo che questo ci sia estraneo proviamo ugualmente: se ci appassioneremo, col tempo affineremo in noi stessi la capacità di adeguarci alle persone, all'ambiente ed alle situazioni come non avremmo mai immaginato!
Non corriamo! Scopriamo la pace interiore della lentezza consapevole, impariamo a camminare con passo lento, guardiamoci intorno, c'è sempre un fiore nuovo, un insetto, un colore che ci stupiranno. Il trekking non è una competizione, anzi il ritmo del gruppo deve adattarsi a quello del più lento.
Scopriamo il silenzio! E' bello il viaggio in gruppo perché si conosce gente nuova, si comunicano esperienze e si approfondiscono gli altri e noi stessi. Durante il cammino riscopriamo anche la bellezza del silenzio, dell'ascoltare il nostro passo, il nostro respiro, i suoni della natura. I compagni di cammino ce ne saranno grati!
I viaggi a piedi sono utili per imparare a distinguere il superfluo dal necessario. Scopriremo allora che cosa è necessario mangiare e cosa è invece abitudine, si scoprirà cos'è necessario nell'igiene quotidiana, nelle comodità, ecc. Eliminando il superfluo dagli zaini e dalle menti tutto sarà più leggero.
Se poi il trekking lo compiamo da soli i consigli sono gli stessi anche se è sempre sconsigliabile andare in montagna da soli.
Un caro saluto.
2 commenti:
Piccole perle di saggezza ormai quasi perdute in questo mondo frenetico e convulso. Ciao trekker!
Ciao Sax,
tieni duro laggiù in Libano.
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