Forse non tutti sanno che a Trieste c'è quello che è considerato l'unico campo di deportazione dell'Europa meridionale.
Nel giorno della memoria, accompagnatemi in questa doverosa visita ad un luogo che trasuda dolore e sgomento in ogni pietra.
Sorto nel 1898 come stabilimento di pilatura del riso (da cui il nome) nel rione di San Sabba, venne trasformato, quarantacinque anni dopo, in campo di prigionia provvisorio (Stalag 339) per i militari italiani catturati dopo l'8 settembre 1943 dai nazisti. I detenuti venivano successivamente inviati ai campi di concentramento di Polonia e Germania.
Il campo venne posto sotto la direzione di Odilo Globocnik, tra i fondatori delle SS e a capo dell'organizzazione per la gestione dei lager polacchi. Il gerarca nazista fu inviato nel capoluogo giuliano per mettere in pratica le politiche antipartigiane e antirazziali del Terzo Reich.
A fine ottobre la Risiera fu riorganizzata in Polizeihaftlager ossia in un campo di detenzione, tortura ed eliminazione di partigiani, oppositori politici ed Ebrei nonché al deposito dei beni razziati.
Il 4 aprile 1944 entrò in funzione per la prima volta il forno crematorio, costruito nei giorni precedenti; furono così fatti scomparire i cadaveri di settanta persone fucilate il giorno prima sul Carso, nel poligono di tiro di Villa Opicina.
Un anno dopo, il 30 aprile 1945, forno e ciminiera furono fatti saltare in aria dai Tedeschi, che, prima di fuggire, decisero di cancellare una parte delle prove dei loro crimini. La presenza del forno fu poi documentata grazie alle testimonianze dei sopravvissuti.
Questa, in breve, la tragica storia del campo.
Nel 1966 fu indetto un concorso per la ristrutturazione della Risiera, al fine di trasformarla in Museo Nazionale che si trova in Via Giovanni Palatucci, 5 ed è aperta tutti i giorni dalle 09,00 alle 19,00.
Entriamo con deferente rispetto. Percorriamo un angusto e grigio corridoio di accesso che contribuisce a rendere cupo l'ambiente.
Sul fondo, nel sottopasso, a sinistra si apre la "cella della morte". Qui venivano condotti i prigionieri destinati alla soppressione e quindi a una breve permanenza nel campo. Secondo alcune testimonianze, nelle stesse celle lo spazio, a volte, era condiviso da prigionieri condannati a morte e cadaveri destinati alla cremazione.
Proseguendo, sempre sulla sinistra, si entra in un grande edificio in mattoni rossi a tre piani che ospitava, nei livelli superiori, gli alloggi per gli ufficiali e la truppa delle SS; al piano terra invece possiamo vedere diciassette cellette dove erano stipate fino a otto persone in attesa dell'esecuzione.
In queste celle piccolissime venivano ristretti fino a sei prigionieri ed erano destinate a Partigiani, politici ed Ebrei in attesa dell'esecuzione a distanza di giorni o settimane. Le prime due cellette erano utilizzate per le torture e per la raccolta dei beni sequestrati ai prigionieri. Le porte e i muri di questi ambienti erano ricoperti di commoventi graffiti e scritte; quando il sito fu occupato dagli Alleati e trasformato in campo di raccolta profughi, tali testimonianze scomparvero per incuria. Fortunatamente lo storico Diego de Henriquez raccolse nei suoi diari un'accurata trascrizione di quanto era allora qui inciso. Possiamo leggerne qualche pagina lungo il percorso.
Proseguendo, troviamo l'edificio a quattro piani in cui, all'interno di stanzoni erano detenute le persone di qualunque età (Ebrei, prigionieri militari e civili) destinate al altri campi di concentramento. Da qui finivano a Dachau, Mauthausen e Auschwitz da cui ben pochi fecero ritorno.
Nel cortile interno, di fronte alle celle, notiamo sul pavimento una enorme piastra metallica che segue fedelmente il perimetro dell'edificio più terribile della risiera: il forno crematorio destinato all'eliminazione fisica dei condannati a morte.
Se alziamo lo sguardo sul fabbricato centrale possiamo osservare l'impronta del camino che scaricava nell'atmosfera il fumi di combustione.
E' devastante questa immagine; in questo luogo furono perpetrati atroci crimini contro l'umanità. Secondo le stime almeno tremila uomini, donne e bambini persero qui la vita e nulla rimase dei loro corpi.
Il corpo centrale di sei piani, un tempo utilizzato come caserma, è oggi sede del Museo che ospita una mostra documentale legata alla storia della Risiera: sono esposti documenti, fotografie, divise ed effetti personali dei deportati triestini, mentre, nella Sala delle Croci, si trovano oggetti personali sottratti agli Ebrei di Trieste dal nazisti, restituiti alla Comunità Ebraica locale soltanto nel 2000, dopo il ritrovamento in Carinzia.
L'edificio destinato alle funzioni religiose, senza differenza di credo, era originariamente destinato a autorimessa per gli automezzi delle SS. Qui erano presenti anche i famigerati furgoni neri con lo scarico collegato al vano di carico per la gassazione dei condannati.
Esco dalla Risiera con grande sollievo; non è affatto una visita semplice perché non è un museo o un monumento come gli altri.
La Risiera è oggi Museo Nazionale e Monumento Nazionale, a ricordare come la tragedia dell'Olocausto investì nella maniera più feroce e diretta anche l'Italia e, nella fattispecie, Trieste.
Ma Trieste e questo lembo bellissimo d'Italia non furono colpiti solo da questa ideologia malata. Il territorio del città giuliana ospita, purtroppo, un altro monumento che testimonia le barbarie commesse durante da Seconda Guerra Mondiale da contendenti diametralmente opposti a quanto ho appena testimoniata: la Foiba di Basovizza che sarà argomento di un mio prossimo post.
Un caro saluto
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