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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

venerdì 5 aprile 2024

L'orrido Gilf

Uno dei primi posti che ho visitato in Alto Adige è stato l'Orrido di Gilf o Gola di Stanghe (Gilfenklamm).
Il nome "Gilf" ha le sue origini nell'antico latino "colphus" (dal geco "Kophos") con significato originario di "seno, insenatura, cavità, rotondità" e ci è pervenuto dal romano "golfu".
Successivamente ci sono tornato più volte perché la suggestione che in me suscita questo posto e davvero potente!
Nel 1800 le gole non erano accessibili alle persone. Esistevano tuttavia alcuni temerari che, lavorando nel settore del legname, in primavera scendevano nelle loro profondità per trasferire a Vipiteno i tronchi tagliati, sfruttando le correnti del Rio di Racines.
Dagli anni ‘20 del 19° secolo, si fecero strada i primi tentativi per trasformare questa gola in un’attrazione per turisti. Nel 1844, questa spettacolare forra venne menzionata ufficialmente in un’opera dedicata al Tirolo: “Chi non teme l’arduo percorso attraverso questa gola, s’imbatterà in una cascata davvero particolare. Nell’oscura ombra di conifere coperte di muschio, da una stretta fenditura nella parete rocciosa, fuoriesce il torrente che forma un ampio arco, nebulizzandosi in una schiuma lattea”. 
Verso la fine del 19° secolo, agli albori del turismo, si iniziò a rendere accessibili le gole ai visitatori. In questo progetto, vennero coinvolte la sezione di Vipiteno della Deutscher und l’Österreichischer Alpenverein (DuÖAV – Associazione alpina tedesca e austriaca, ndt), anche per raccogliere il denaro necessario. I lavori presero il via nel 1893. Per il superamento dei passaggi più difficili fu necessario ricorrere a esplosioni indotte con la dinamite. 
Già in questa fase la gola attrasse un gran numero di interessati e molti turisti che venivano da lontano per ammirare questo impressionante spettacolo della natura. L’opera venne aperta al pubblico il 2 agosto del 1896. L'inaugurazione ufficiale avvenne, però, due anni più tardi: il 25 luglio del 1898 e venne subito ribattezzato "Orrido dell'Imperatore Francesco Giuseppe" (Kaiser Franz Josef Klamm), denominazione che tuttavia, non s’impose tra la popolazione, tanto che qualche anno più tardi venne rinominata semplicemente “Gola di Stanghe”.
Durante le due guerre mondiali, il sentiero nella gola andò in rovina e gli accessi vennero chiusi. Dopo il secondo conflitto, si dovettero attendere 16 anni per la ricostruzione del percorso e dei numerosi ponti ormai impraticabili, ma la Gola di Stanghe fu finalmente riaperta.
Per arrivare in questo sito, eletto monumento naturale, occorre uscire da Vipiteno in direzione Bolzano (sud-est) e voltare a destra per l'Autobrennero. Ignorate il casello autostradale e proseguite per Casateia, prima, e Stanghe poi. Prima di entrare in paese, possiamo lasciare l'auto presso gli impianti sportivi che troviamo sulla destra.
Seguendo le indicazioni, ci incamminiamo lungo un vialetto ombreggiato.
Costeggiamo il torrente Racines ora piuttosto tranquillo.
Giungiamo alla biglietteria. Essendo ospiti di un albergo a Bressanone, siamo in possesso della Brixen Card che ci consente l'ingresso gratuito a questa meraviglia; in caso contrario il costo del biglietto è di 7 Euro per gli adulti e 5 Euro per i bambini.
Occorre precisare che l'orrido è aperto da maggio ai primi di novembre.
Seguendo le indicazioni, proseguiamo per un largo sentiero che costeggia ancora il rio Racines che, dopo il suo faticoso e tortuoso passaggio attraverso l'orrido, ha ritrovato un ritmo più tranquillo. Sul sentiero imponenti abeti ed ontani accompagnano i nostri passi con le loro grosse radici affondate nell'acqua limpida del torrente
Il bosco si fa più fitto e, poco prima che si inizi la salita, un cartello
ci indica la presenza sulla riva di una calcara, una fornace per la cottura della calce.
Cominciamo a guadagnare quota
e incrociamo il primo di una lunga serie di ponti che ci consentirà di spostarci da una parete all'altra dell'orrido.
Il frastuono dovuto all'impeto dell'acqua che scende tumultuosamente dalla montagna diviene sempre più forte.
Dopo una mezz'ora di cammino dalla biglietteria, arriviamo ad una iscrizione che ricorda l'inaugurazione di questa attrazione.
Sulle scoscese pareti della stretta gola si aggrappano cespugli ed alberi, sovrastati da grossi massi rocciosi mentre in basso rumoreggia l'acqua del torrente.
Ancora un breve tratto... e improvvisamente ci troviamo al cospetto di un impressionante scenario che mette in tumulto il nostro animo!
L'orrido "Gilf" è l'unica gola al mondo scavata profondamente in un gigantesco blocco di marmo bianco.
A causa delle intemperie e del trascorrere del tempo la parte superiore si è annerita e si presenta con riflessi verdastri. Su ambo i lati si innalzano imponenti massi rocciosi che formano un gigantesco portone; una sorta di accesso ad un mondo magico.
Come paralizzati ci blocchiamo sul ponte che attraversa, ad una altezza vertiginosa, la sottostante gola. Non riesco a distogliere lo sguardo da questo grandioso spettacolo della natura. Una cascata di 15 metri si getta, impetuosa e spumeggiante, nell'orrido stretto pochi metri, fiancheggiato da grosse rocce cha appaiono cupe e minacciose.
Provetti scalatori dovettero realizzare il passaggio davanti a noi, legati ad una fune e penzolanti nel vuoto, facendo saltare la roccia, pezzo per pezzo, per una lunghezza di venti metri.
Si è pervasi da innumerevoli sensazioni in questo stretto e basso passaggio, mentre dal profondo del precipizio la massa d'acqua scava lentamente la roccia tuonando e spumeggiando vorticosamente. Aria umida e fredda riempie questo regno selvaggio di rocce, dove i raggi del sole riescono a farsi strada faticosamente. Superato questo angusto passaggio si raggiunge poco più avanti un ponte teso tra le due sponde rocciose, direttamente sopra la cascata d'acqua che con forza impetuosa piomba nella stretta gola.
Continuiamo ad avanzare in salita.
Proseguendo, il passaggio si fa più dolce e tranquillo
ma per poco perché più avanti la gola si stringe nuovamente in un anfratto che nel punto più alto si chiude quasi completamente.
Molto bello anche questo passaggio.
Il sentiero ora si snoda in brevi scalinate e passerelle attraverso i lati della gola
e ci porta ad una piattaforma dalla quale si può apprezzare il candore del marmo "lavorato" dal lavoro incessante dell'acqua.
Siamo quasi al termine della visita. In breve raggiungiamo l'uscita. Uno spazio verde e silenzioso ci accoglie soddisfatti. Poco più su si snoda la strada del Giovo.
Abbiamo superato un dislivello di 175 metri impiegando circa un'ora. Il rientro può avvenire per lo stesso itinerario oppure attraverso il sentiero CAI 11A (3 sulla cartina turistica della zona)

che con vedute aperte e panoramiche
ci rasserena molto in contrasto con lo stato d'animo che avevamo nell'orrido.
In tre quarti d'ora siamo alla macchina.
Passeggiata altamente gratificante.
Un caro saluto


sabato 11 marzo 2023

Salita invernale al Rifugio Croda da Lago

In una fredda ma soleggiata mattina di inverno, con un amico, decidiamo di salire alle pendici della Croda da Lago. 
Siamo nel comprensorio di Cortina d'Ampezzo e il percorso che vogliamo intraprendere è poco frequentato anche d'estate... figuriamoci d'inverno.
Con la macchina saliamo per la strada del Passo Giau e, una manciata di chilometri prima di arrivare a quest'ultimo, parcheggiamo sulla sinistra, al Ponte de ru Curto (indicazioni). Il freddo è pungente e mi fa rimpiangere il tepore delle coperte sotto le quali ero sommerso fino a poco prima. Siamo completamente in ombra a quota 1708 m.
Da qui inizia la nostra escursione. E' evidente che il fondo di tutto quello che percorreremo è coperto da una crosta di ghiaccio, ricordo di oramai antiche nevicate, per cui indossiamo dei ramponcini per progredire in sicurezza. 
Individuiamo dalla strada, in basso, il sentiero n. 437 (Alta Via delle Dolomiti n. 1) che si avventura nel bosco in direzione est. Scendiamo brevemente al ponte e poi procediamo in leggera salita. Stiamo attraversano il versante settentrionale della Croda da Lago.
Dopo un cambio di direzione verso sud, superiamo il torrente Formin, oltre il quale incrociamo il sentiero n. 434, poco sopra la radura di Cason de Formin (1875 m.), che ignoriamo e procediamo sul 434 che sale con più decisione verso est, rimontando il dosso ai piedi meridionali del Ciadenes, ultima propaggine nord della dorsale della Croda da Lago.
Ci affacciamo sul belvedere della Val Negra (2048 m) che offre una magnifica vista sulla conca di Cortina d'Ampezzo.
Qui ci fermiamo a riposare, rapiti da tanta bellezza.
Sotto di noi giace placida Cortina d'Ampezzo.
Sullo sfondo riconosciamo da sinistra: le Tofane,
il gruppo del Cristallo
e poco oltre le Tre Cime di Lavaredo.
Se voltiamo lo sguardo dietro di noi a sinistra possiamo ammirare le meravigliose Cinque Torri
che ci hanno accompagnato per quasi tutto il percorso.
Finalmente il sole ci scalda e sostiamo volentieri su questo belvedere circondati da tante meraviglie.
Riprendiamo il cammino e subito pieghiamo a sud e quasi in piano si attraversa un rado bosco fino al Lago di Federa ricoperto da una lastra di ghiaccio e finalmente al Rifugio Croda da Lago (2046 m.) purtroppo chiuso. 
Costruito dalla guida alpina Giovanni Barbaria e inaugurato nel 1901, fu venduto alla Sezione di Reichenberg del Club Alpino Austro-Tedesco che lo gestì fino al primo dopoguerra. Dal 1920 è tornato alla Sezione CAI di Cortina. Il 18 luglio 1948, a seguito di un contributo elargito dalla famiglia Palmieri a memoria del figlio Gianni caduto durante la Seconda Guerra Mondiale, venne rinominato "Rifugio Gianni Palmieri alla Croda da Lago".
Il rifugio dispone di 50 posti letto suddivisi in camere da 6 o 9 posti e una grande camerata da 15 letti posta al secondo piano. I bagni sono al piano e dispone di una doccia calda a gettoni e persino di una sauna. E' aperto in estate. Potete trovare ulteriori informazioni sul sito ufficiale.
Siamo ai piedi del versante orientale della Croda da Lago che incombe con le sue guglie rocciose sul rifugio.
A sud della struttura, domina solitaria la caratteristica sagoma del Becco di Mezzodì.
Se voltiamo lo sguardo a sinistra riusciamo a distinguere il Sorapiss, la cima Scotter e l'imponente Antelao.
Potremmo anche procedere fino alla Forcella Ambrizzola ma ci riteniamo soddisfatti e concludiamo qui la nostra escursione.
Consumiamo un breve pasto per guadagnare le forze.
Un'ultima foto ricordo
e ci rimettiamo in cammino ripercorrendo il sentiero 437 prima che il buio ci possa sorprendere.
Giunti alla macchina possiamo dire di avere incrociato non più di cinque escursionisti per cui questo percorso è da affrontare obbligatoriamente in compagnia e con la giusta prudenza.
Un caro saluto.

domenica 18 settembre 2022

Sauris

Anche in montagna questa estate è stata straordinariamente torrida. Il clima caldo non invogliava a faticose gite e trekking; tuttavia, in una giornata meno calda del solito, con Elena e Thor ho deciso di visitare Sauris.
Partiamo di buon mattino dal Cadore; varchiamo il confine con il vicino Friuli attraverso il Passo Mauria e, dopo aver superato il paese di Forni di Sotto, percorriamo la tortuosa strada che si arrampica sul Passo Pura. Scendiamo rapidamente verso il Lago di Sauris che ci appare con il suo bel colore turchese attraverso gli alberi di un rigoglioso bosco. Questo lago è artificiale; nel 1941, per fini idroelettrici, vennero iniziati i lavori per la costruzione di un imponente sbarramento sul torrente Lumiei. La diga, inaugurata nel 1948, presenta un’altezza di ben 136 metri e, all’epoca, era la più alta d’Italia e una delle maggiori d’Europa. Il lago ha una portata d’acqua di oltre 70 milioni di metri cubi.
Costeggiamo il lago sulla sponda orientale e prendiamo a salire alla volta di Sauris.
La nostra meta è un piccolo comune sparso che conta poco meno di 400 abitanti. Sulla destra notiamo una stradina che sale verso Lateis, una delle frazioni del comune, ma noi proseguiamo verso Sauris di Sotto.
Ora il paesaggio si apre e sopra di noi possiamo ammirare le prime case di questo pittoresco borgo.
Le sue origini affondano in antiche leggende popolari secondo le quali la comunità di Sauris fu fondata da due soldati tedeschi che si rifugiarono in questa valle isolata e impervia. 
Ecco la versione tramandata nel 1882 da Padre Luigi Lucchini: "Un’antica tradizione pretende che primi a stanziare nella valle del Lumiei fossero due soldati tedeschi usciti di non so qual parte della Germania per sottrarsi alla milizia o piuttosto fuggiti dalla milizia stessa, e chiamati poscia cacciatori, perché sulle prime nell’alpestre valle, che servì loro di rifugio, dovettero vivere principalmente di caccia". Qualche tempo più tardi un nipote di Padre Lucchini, Fulgenzio Schneider, aggiungeva: "Narra la tradizione, che i due venuti aveano fatta la prima capanna nel sito Raitern (Sauris di Sotto) e dopo non lunghi anni quando ebbero famiglia, l’uno si sia separato e fattosi la sua abitazione in Richelan (Sauris di Sopra). Non si può conoscere la causa per cui si siano così presto separati, e tanto lontano l’uno dall’altro, in una regione così selvaggia, che abbondavano i boschi popolati di fiere. Fa supporre, che sia stato per il motivo per abbracciare una maggiore estensione, e così meglio facilitare la caccia. In altro modo, fa supporre che si siano separati per divergenze, date le tradizioni antiche, che tra le due frazioni, Sauris di Sotto e Sauris di Sopra non erano mai in buone relazioni e che abbiano avuto il punto di partenza già dai primi fondatori".
Come ogni leggenda, anche questo racconto ha un fondo di verità: i primi abitanti, infatti, giunsero da qualche valle al confine tra la Carinzia e il Tirolo attorno alla metà del 1200. Per più di sette secoli i loro discendenti vissero in equilibrio con l’ambiente alpino, coltivando le poche specie adatte a queste altitudini e al clima rigido, portando il bestiame nei pascoli d’altura durante i mesi estivi, falciando i prati fino alle cime, traendo dai boschi legname per le costruzioni e per il riscaldamento. Per procurarsi i generi alimentari che non esistevano sul posto (ad esempio il sale) essi ricorrevano al baratto con i paesi vicini. Oggi i Saurani, interpretando in chiave moderna alcune delle attività tradizionali (artigianato, produzioni agroalimentari di nicchia) o sviluppando forme di accoglienza turistica a misura d’uomo, continuano a convivere con un ambiente che, dopo secoli, rimane ancora la risorsa più preziosa.
Giungiamo nel centro di Sauris di Sotto e lasciamo l'auto nei pressi del Municipio.
Siamo in Carnia, in Val Lumiei per la precisione.  Sauris è circondato da diverse cime montuose tra cui il Col Gentile e il Monte Bivera, che partecipano attivamente al consolidamento del fascino montano del piccolo borgo.
La giornata è splendida e ci regala immagini da cartolina. Le varie costruzioni sono in armonia con l'ambiente circostante insomma... una favola.
L’architettura saurana rappresenta il collegamento più evidente con la vicina Carinzia: gli edifici sono infatti caratterizzati da elementi costruttivi realizzati, come scrivevo, con le risorse disponibili sul territorio. Le case
e i rustici più antichi
sono caratterizzati dal pian terreno in pietra che ospita la cucina e i piani sopraelevati in legno con le camere da letto, costruiti con l’antica tecnica del BLOCKBAU (i tronchi degli alberi interi creano una solida struttura grazie al loro incastro agli angoli dei fabbricati).
Il tetto è rivestito in scandole di legno di larice. Nonostante, a partire dal 1700, la tradizione architettonica carnica abbia influenzato quella saurana con la costruzione di numerose case in sola pietra, i progetti di valorizzazione dell’architettura tradizionale hanno fatto sì che ancor oggi i progetti abitativi debbano passare sotto una rigida ispezione tecnica al fine di valutarne la coerenza ambientale e questa cosa mi piace davvero tanto!
Alle spalle del Municipio notiamo il grande edificio del prosciuttificio "Wolf".
Questo piccolo paese è infatti famoso in tutta Italia soprattutto per le sue grandi specialità gastronomiche, prima fra tutte il celebre prosciutto di Sauris. Questa leccornia viene qui lavorata seguendo secolari tecniche di conservazione che negli anni la hanno trasformata in una vera e propria eccellenza gastronomica del nostro paese. Il punto di forza del prosciutto di Sauris è senza dubbio il tipo di affumicatura, ottenuto bruciando esclusivamente legno di faggio proveniente dai boschi locali, che dona al prosciutto quel suo sapore inconfondibile. Non posso fare a meno di entrare nel fornitissimo spaccio aziendale per gli acquisti di rito.
Sauris però non è solo prosciutto, e negli anni ha ampliato la sua offerta gastronomica, riuscendo a spaziare dalle birre artigianali fino ai prodotti caseari, con un occhio di riguardo per il formaggio di capra. Menzione d’onore per la trota affumicata di Sauris. Le acque cristalline, l’attenzione maniacale riservata all’allevamento e la particolare affumicatura la rendono una prelibatezza di altri tempi.
Il paese è sormontato dalla bella Chiesa di Sant’Osvaldo.
La raggiungiamo con una breve camminata passando davanti ad una cappella degli Alpini.
In breve siamo sul sagrato erboso della Chiesa
nella quale ci rifugiamo per un breve raccoglimento e per sfuggire alla calura che comincia a mordere sul collo.
Riemersi dalla confortevole ombra, notiamo più in basso, in lontananza, uno spicchio del lago che avevamo ammirato appena giunti a Sauris.
Scendiamo una scalinata adornata di coloratissimi fiori
e percorriamo strette viuzze circondati da tipiche abitazioni saurane dove il legno regna sovrano.
Sostiamo brevemente sotto l'affresco Unterminigar; opera devozionale raffigurante l'Adorazione dei pastori attribuibile ad un artista popolaresco, di modi veneti, operante verso la 2^ metà del XVIII Sec.
Altre costruzioni sono circondate da graziose composizioni temporanee realizzate con la legna da ardere preparata in anticipo per combattere i rigori dell'inverno che da queste parti è piuttosto rigido.
Il tempo per una foto ricordo
e torniamo all'auto per salire a Sauris di Sopra.
Sauris di Sopra è situato in splendida posizione su di una insellatura prativa posta a nord-ovest del Monte Ruche. Anche qui ci troviamo in un contesto di autentico pregio.
Molto belli alcuni angoli cha raccontano di fervente devozione popolare e di antiche usanze.
Siamo estasiati dalla bellezza dei colori
e restiamo col naso all'insù ad ammirare le architetture locali.
Quanta bellezza
e quanta serenità sono in grado di regalare queste montagne.
Facciamo sosta in un locale in buona posizione panoramica
dove ci rifocilliamo con una gustosa merenda a base di prodotti del territorio.
Con un'ultima occhiata abbracciamo questo paesaggio immerso in una luce fantastica
e intraprendiamo il viaggio di ritorno alla volta del Cadore percorrendo la strada che da Sauris di Sopra raggiunge Casera Razzo per poi scendere verso la terra di Tiziano.
Credo che ritorneremo in questo borgo sospeso nel tempo, magari in inverno, per sostarvi qualche giorno.
Un caro saluto.