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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

sabato 11 marzo 2023

Salita invernale al Rifugio Croda da Lago

In una fredda ma soleggiata mattina di inverno, con un amico, decidiamo di salire alle pendici della Croda da Lago. 
Siamo nel comprensorio di Cortina d'Ampezzo e il percorso che vogliamo intraprendere è poco frequentato anche d'estate... figuriamoci d'inverno.
Con la macchina saliamo per la strada del Passo Giau e, una manciata di chilometri prima di arrivare a quest'ultimo, parcheggiamo sulla sinistra, al Ponte de ru Curto (indicazioni). Il freddo è pungente e mi fa rimpiangere il tepore delle coperte sotto le quali ero sommerso fino a poco prima. Siamo completamente in ombra a quota 1708 m.
Da qui inizia la nostra escursione. E' evidente che il fondo di tutto quello che percorreremo è coperto da una crosta di ghiaccio, ricordo di oramai antiche nevicate, per cui indossiamo dei ramponcini per progredire in sicurezza. 
Individuiamo dalla strada, in basso, il sentiero n. 437 (Alta Via delle Dolomiti n. 1) che si avventura nel bosco in direzione est. Scendiamo brevemente al ponte e poi procediamo in leggera salita. Stiamo attraversano il versante settentrionale della Croda da Lago.
Dopo un cambio di direzione verso sud, superiamo il torrente Formin, oltre il quale incrociamo il sentiero n. 434, poco sopra la radura di Cason de Formin (1875 m.), che ignoriamo e procediamo sul 434 che sale con più decisione verso est, rimontando il dosso ai piedi meridionali del Ciadenes, ultima propaggine nord della dorsale della Croda da Lago.
Ci affacciamo sul belvedere della Val Negra (2048 m) che offre una magnifica vista sulla conca di Cortina d'Ampezzo.
Qui ci fermiamo a riposare, rapiti da tanta bellezza.
Sotto di noi giace placida Cortina d'Ampezzo.
Sullo sfondo riconosciamo da sinistra: le Tofane,
il gruppo del Cristallo
e poco oltre le Tre Cime di Lavaredo.
Se voltiamo lo sguardo dietro di noi a sinistra possiamo ammirare le meravigliose Cinque Torri
che ci hanno accompagnato per quasi tutto il percorso.
Finalmente il sole ci scalda e sostiamo volentieri su questo belvedere circondati da tante meraviglie.
Riprendiamo il cammino e subito pieghiamo a sud e quasi in piano si attraversa un rado bosco fino al Lago di Federa ricoperto da una lastra di ghiaccio e finalmente al Rifugio Croda da Lago (2046 m.) purtroppo chiuso. 
Costruito dalla guida alpina Giovanni Barbaria e inaugurato nel 1901, fu venduto alla Sezione di Reichenberg del Club Alpino Austro-Tedesco che lo gestì fino al primo dopoguerra. Dal 1920 è tornato alla Sezione CAI di Cortina. Il 18 luglio 1948, a seguito di un contributo elargito dalla famiglia Palmieri a memoria del figlio Gianni caduto durante la Seconda Guerra Mondiale, venne rinominato "Rifugio Gianni Palmieri alla Croda da Lago".
Il rifugio dispone di 50 posti letto suddivisi in camere da 6 o 9 posti e una grande camerata da 15 letti posta al secondo piano. I bagni sono al piano e dispone di una doccia calda a gettoni e persino di una sauna. E' aperto in estate. Potete trovare ulteriori informazioni sul sito ufficiale.
Siamo ai piedi del versante orientale della Croda da Lago che incombe con le sue guglie rocciose sul rifugio.
A sud della struttura, domina solitaria la caratteristica sagoma del Becco di Mezzodì.
Se voltiamo lo sguardo a sinistra riusciamo a distinguere il Sorapiss, la cima Scotter e l'imponente Antelao.
Potremmo anche procedere fino alla Forcella Ambrizzola ma ci riteniamo soddisfatti e concludiamo qui la nostra escursione.
Consumiamo un breve pasto per guadagnare le forze.
Un'ultima foto ricordo
e ci rimettiamo in cammino ripercorrendo il sentiero 437 prima che il buio ci possa sorprendere.
Giunti alla macchina possiamo dire di avere incrociato non più di cinque escursionisti per cui questo percorso è da affrontare obbligatoriamente in compagnia e con la giusta prudenza.
Un caro saluto.

domenica 18 settembre 2022

Sauris

Anche in montagna questa estate è stata straordinariamente torrida. Il clima caldo non invogliava a faticose gite e trekking; tuttavia, in una giornata meno calda del solito, con Elena e Thor ho deciso di visitare Sauris.
Partiamo di buon mattino dal Cadore; varchiamo il confine con il vicino Friuli attraverso il Passo Mauria e, dopo aver superato il paese di Forni di Sotto, percorriamo la tortuosa strada che si arrampica sul Passo Pura. Scendiamo rapidamente verso il Lago di Sauris che ci appare con il suo bel colore turchese attraverso gli alberi di un rigoglioso bosco. Questo lago è artificiale; nel 1941, per fini idroelettrici, vennero iniziati i lavori per la costruzione di un imponente sbarramento sul torrente Lumiei. La diga, inaugurata nel 1948, presenta un’altezza di ben 136 metri e, all’epoca, era la più alta d’Italia e una delle maggiori d’Europa. Il lago ha una portata d’acqua di oltre 70 milioni di metri cubi.
Costeggiamo il lago sulla sponda orientale e prendiamo a salire alla volta di Sauris.
La nostra meta è un piccolo comune sparso che conta poco meno di 400 abitanti. Sulla destra notiamo una stradina che sale verso Lateis, una delle frazioni del comune, ma noi proseguiamo verso Sauris di Sotto.
Ora il paesaggio si apre e sopra di noi possiamo ammirare le prime case di questo pittoresco borgo.
Le sue origini affondano in antiche leggende popolari secondo le quali la comunità di Sauris fu fondata da due soldati tedeschi che si rifugiarono in questa valle isolata e impervia. 
Ecco la versione tramandata nel 1882 da Padre Luigi Lucchini: "Un’antica tradizione pretende che primi a stanziare nella valle del Lumiei fossero due soldati tedeschi usciti di non so qual parte della Germania per sottrarsi alla milizia o piuttosto fuggiti dalla milizia stessa, e chiamati poscia cacciatori, perché sulle prime nell’alpestre valle, che servì loro di rifugio, dovettero vivere principalmente di caccia". Qualche tempo più tardi un nipote di Padre Lucchini, Fulgenzio Schneider, aggiungeva: "Narra la tradizione, che i due venuti aveano fatta la prima capanna nel sito Raitern (Sauris di Sotto) e dopo non lunghi anni quando ebbero famiglia, l’uno si sia separato e fattosi la sua abitazione in Richelan (Sauris di Sopra). Non si può conoscere la causa per cui si siano così presto separati, e tanto lontano l’uno dall’altro, in una regione così selvaggia, che abbondavano i boschi popolati di fiere. Fa supporre, che sia stato per il motivo per abbracciare una maggiore estensione, e così meglio facilitare la caccia. In altro modo, fa supporre che si siano separati per divergenze, date le tradizioni antiche, che tra le due frazioni, Sauris di Sotto e Sauris di Sopra non erano mai in buone relazioni e che abbiano avuto il punto di partenza già dai primi fondatori".
Come ogni leggenda, anche questo racconto ha un fondo di verità: i primi abitanti, infatti, giunsero da qualche valle al confine tra la Carinzia e il Tirolo attorno alla metà del 1200. Per più di sette secoli i loro discendenti vissero in equilibrio con l’ambiente alpino, coltivando le poche specie adatte a queste altitudini e al clima rigido, portando il bestiame nei pascoli d’altura durante i mesi estivi, falciando i prati fino alle cime, traendo dai boschi legname per le costruzioni e per il riscaldamento. Per procurarsi i generi alimentari che non esistevano sul posto (ad esempio il sale) essi ricorrevano al baratto con i paesi vicini. Oggi i Saurani, interpretando in chiave moderna alcune delle attività tradizionali (artigianato, produzioni agroalimentari di nicchia) o sviluppando forme di accoglienza turistica a misura d’uomo, continuano a convivere con un ambiente che, dopo secoli, rimane ancora la risorsa più preziosa.
Giungiamo nel centro di Sauris di Sotto e lasciamo l'auto nei pressi del Municipio.
Siamo in Carnia, in Val Lumiei per la precisione.  Sauris è circondato da diverse cime montuose tra cui il Col Gentile e il Monte Bivera, che partecipano attivamente al consolidamento del fascino montano del piccolo borgo.
La giornata è splendida e ci regala immagini da cartolina. Le varie costruzioni sono in armonia con l'ambiente circostante insomma... una favola.
L’architettura saurana rappresenta il collegamento più evidente con la vicina Carinzia: gli edifici sono infatti caratterizzati da elementi costruttivi realizzati, come scrivevo, con le risorse disponibili sul territorio. Le case
e i rustici più antichi
sono caratterizzati dal pian terreno in pietra che ospita la cucina e i piani sopraelevati in legno con le camere da letto, costruiti con l’antica tecnica del BLOCKBAU (i tronchi degli alberi interi creano una solida struttura grazie al loro incastro agli angoli dei fabbricati).
Il tetto è rivestito in scandole di legno di larice. Nonostante, a partire dal 1700, la tradizione architettonica carnica abbia influenzato quella saurana con la costruzione di numerose case in sola pietra, i progetti di valorizzazione dell’architettura tradizionale hanno fatto sì che ancor oggi i progetti abitativi debbano passare sotto una rigida ispezione tecnica al fine di valutarne la coerenza ambientale e questa cosa mi piace davvero tanto!
Alle spalle del Municipio notiamo il grande edificio del prosciuttificio "Wolf".
Questo piccolo paese è infatti famoso in tutta Italia soprattutto per le sue grandi specialità gastronomiche, prima fra tutte il celebre prosciutto di Sauris. Questa leccornia viene qui lavorata seguendo secolari tecniche di conservazione che negli anni la hanno trasformata in una vera e propria eccellenza gastronomica del nostro paese. Il punto di forza del prosciutto di Sauris è senza dubbio il tipo di affumicatura, ottenuto bruciando esclusivamente legno di faggio proveniente dai boschi locali, che dona al prosciutto quel suo sapore inconfondibile. Non posso fare a meno di entrare nel fornitissimo spaccio aziendale per gli acquisti di rito.
Sauris però non è solo prosciutto, e negli anni ha ampliato la sua offerta gastronomica, riuscendo a spaziare dalle birre artigianali fino ai prodotti caseari, con un occhio di riguardo per il formaggio di capra. Menzione d’onore per la trota affumicata di Sauris. Le acque cristalline, l’attenzione maniacale riservata all’allevamento e la particolare affumicatura la rendono una prelibatezza di altri tempi.
Il paese è sormontato dalla bella Chiesa di Sant’Osvaldo.
La raggiungiamo con una breve camminata passando davanti ad una cappella degli Alpini.
In breve siamo sul sagrato erboso della Chiesa
nella quale ci rifugiamo per un breve raccoglimento e per sfuggire alla calura che comincia a mordere sul collo.
Riemersi dalla confortevole ombra, notiamo più in basso, in lontananza, uno spicchio del lago che avevamo ammirato appena giunti a Sauris.
Scendiamo una scalinata adornata di coloratissimi fiori
e percorriamo strette viuzze circondati da tipiche abitazioni saurane dove il legno regna sovrano.
Sostiamo brevemente sotto l'affresco Unterminigar; opera devozionale raffigurante l'Adorazione dei pastori attribuibile ad un artista popolaresco, di modi veneti, operante verso la 2^ metà del XVIII Sec.
Altre costruzioni sono circondate da graziose composizioni temporanee realizzate con la legna da ardere preparata in anticipo per combattere i rigori dell'inverno che da queste parti è piuttosto rigido.
Il tempo per una foto ricordo
e torniamo all'auto per salire a Sauris di Sopra.
Sauris di Sopra è situato in splendida posizione su di una insellatura prativa posta a nord-ovest del Monte Ruche. Anche qui ci troviamo in un contesto di autentico pregio.
Molto belli alcuni angoli cha raccontano di fervente devozione popolare e di antiche usanze.
Siamo estasiati dalla bellezza dei colori
e restiamo col naso all'insù ad ammirare le architetture locali.
Quanta bellezza
e quanta serenità sono in grado di regalare queste montagne.
Facciamo sosta in un locale in buona posizione panoramica
dove ci rifocilliamo con una gustosa merenda a base di prodotti del territorio.
Con un'ultima occhiata abbracciamo questo paesaggio immerso in una luce fantastica
e intraprendiamo il viaggio di ritorno alla volta del Cadore percorrendo la strada che da Sauris di Sopra raggiunge Casera Razzo per poi scendere verso la terra di Tiziano.
Credo che ritorneremo in questo borgo sospeso nel tempo, magari in inverno, per sostarvi qualche giorno.
Un caro saluto.

lunedì 22 agosto 2022

Il testamento di un cane

Da pochi mesi uno splendido cagnolino è entrato a far parte della nostra famiglia portando una ventata di allegria, amore e vivacità.
L’altro giorno ho letto su un social questo brano che riporto e che mi è arrivato come un cazzotto allo stomaco.
Mi sono permesso di modificarlo leggermente. Non credo servano altri commenti e ringrazio l’autore per la inusuale sensibilità.
Il testamento di un cane
Caro amico mio, i miei beni materiali sono pochi e li lascio tutti a te:
- ti lascio il mio collare rosicchiato, una cuccia disordinata e la ciotola delle crocchette che ha il bordo rotto;
- ti lascio metà della palla di gomma (l’altra metà l’ho mangiata e digerita), una bambola rotta che troverai sotto il frigorifero, un maialino di gomma dietro la credenza, in cucina e molte ossa sepolte nel vaso di rose sul poggiolo;
- ti lascio i miei ricordi, che sono molti e molto belli, il ricordo dei miei enormi e amorevoli occhi marroni, della mia coda corta e appuntita e del mio guaito disperato dietro la porta quando uscivi di casa;
- ti lascio anche l’angoletto nel soggiorno, vicino alla finestra dove mi piaceva rotolarmi come una palla per prendere un po’ di sole. Ti lascio anche quel raggio di sole;
- ti lascio un tappetino rosicchiato… l’ho masticato quando avevo 5 mesi di età, ricordi? 
- lascio, solo per te, il rumore che facevo correndo sulle foglie dell’autunno quando camminavamo in mezzo ai boschi;
- ti lascio anche il ricordo dei bei momenti al mattino, quando uscivamo insieme a passeggiare sulla via di casa e mi davi i biscotti alla vaniglia;
- ti lascio il ricordo della mia testardaggine quando volevo salutare a tutti i costi gli altri cani che incrociavamo, anche quelli che, molto più grandi di me, non ne volevano sapere;
- ti lascio in eredità la mia lealtà, la mia simpatia, il mio sostegno quando le cose non andavano bene e il mio abbaiare quando sentivo strani rumori;
- ti lascio i miei infiniti baci bagnati d’amore perché tu sei il mio unico amore;
- ti lascio il mio esempio di amore, pazienza e comprensione;
- non posso, però, lasciarti la cosa che per me era la più preziosa di tutte… non posso lasciartela perché eri proprio TU!! Ma sono sicuro che capirai;
- ti lascio i miei grazie e spero che la tua vita sia stata più felice con me al tuo fianco.

martedì 16 agosto 2022

Pyramidenkogel, il ritorno

Quattordici anni orsono ho visitato per la terza volta la torre del Pyramidenkogel sul Worthersee in Carinzia (trovi il resoconto di quella visita qui). Nel frattempo tante cose sono cambiate; prima di tutto la vecchia torre non esiste più, è stata abbattuta il 12 ottobre del 2012. Su YouTube è possibile trovare qualche filmato spettacolare della demolizione. Nel 2013 è stata inaugurata una nuova torre panoramica che, con i suoi 100 metri di altezza, è la torre di osservazione in legno più alta del mondo!
Ebbene, ho ritardato fin troppo una ulteriore visita a questa autentica meraviglia dell'ingegneria.
La costruzione precedente era piuttosto bruttina anche se rendeva l'esperienza di una sua salita più adrenalina rispetto all'attuale; questa che abbiamo modo di vedere dal parcheggio, con le sue eleganti costolature in legno lamellare, è un autentico monumento all'ingegno umano.
Costruita in soli cinque mesi (dal febbraio al giugno del 2013) si compone di 16 possenti montanti in legno lamellare di larice disposti a ellisse e da 80 puntoni diagonali in acciaio che formano una struttura "a castello" lanciata a spirale nel cielo.
Il corpo principale ha un’altezza di 67 metri ed è sormontato dalle due piattaforme panoramiche superiori e dallo «Sky Box», un ambiente (al 9° piano) completamente vetrato e quindi riparato dal vento e dalle intemperie.
La più alta delle tre piattaforme panoramiche si trova a poco meno di 71 metri dal suolo; la maggiore, invece, è collocata a 64,16 metri di altezza.
Considerando anche l’antenna posta sulla cima e lunga 18 metri, la torre viene a misurare esattamente 100 metri.
Il progetto della costruzione è stato firmato dagli architetti Markus Klaura e Dietmar Kaden di Klagenfurt.
Celestiale, ecco come è definita sul suo sito ufficiale la torre panoramica oramai divenuta un punto caratteristico della Carinzia e dei suoi laghi. Essa si pone come simbolico ponte tra il cielo e i laghi, anello di congiunzione tra libertà, piacere e natura. 
Dopo averla ammirata con un misto di soggezione e rispetto è giunta l'ora di entrare.
Alla sua base una costruzione circolare, che corre attorno alla base della torre, ospita la biglietteria, uno shop con vendita di souvenir locali e un ristorante che serve prodotti locali. Accediamo rapidamente all'ingresso dell'ascensore panoramico che con la sua capienza di 20 persone arriva all'altezza di 70 metri direttamente alle piattaforme panoramiche;
è possibile salire anche a piedi percorrendo la bellezza di 441 gradini
ma noi preferiamo arrivare alla sommità della torre riposati per poter godere pienamente di quello che ci attende. Grazie alla sua struttura elicoidale, la costruzione rivela i magnifici paesaggi lacustri e montani della Carinzia a 360 gradi sia che si percorrano le scale, sia che si arrivi alle piattaforme con l'ascensore.
All'apertura delle porte una folata di aria fresca ci investe e siamo subito nel bagliore del sole agostano. Ci affacciamo e... meraviglia. Difficile descrivere quello che vediamo.
Fa sempre effetto ammirare di fronte a noi la cittadina di Pörtschach
con la sua caratteristica isoletta collegata da un pittoresco ponte.
E che dire della penisoletta che ospita il paesino di Maria Wörth
con due santuari che si rispecchiano nel lago.
Davvero una giornata incantevole che invita a fare foto ricordo.
La mia compagna di viaggio è estasiata per quello che si può ammirare sotto di noi.
Se si scende alla Sky Box è possibile, solo con il bel tempo, accedere al "Fly 100" una teleferica lunga 100 metri che supera un dislivello di oltre 70 metri e che consente un volo da brivido nel vuoto.
Se si scende ulteriormente a quota 52 metri si accede allo scivolo coperto più alto d’Europa che conduce al pianterreno. Sulla lunghezza dei suoi 120 metri si può raggiungere una velocità anche di 25 km/h nei circa 20 secondi di discesa.
Ritornando al piano terra notiamo un pannello che ci informa che questa torre è più alta della Statua della Libertà di New York.
Porteremo per sempre con noi immagini e colori di questo angolo dell'Austria davvero suggestivo.
Un caro saluto.