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Lettori fissi

Un piccolo diario che ha come filo conduttore il mio amore per la montagna e per i viaggi in genere... ma anche pensieri e riflessioni su quello che mi circonda perché il vero esploratore è colui che non ha paura di spogliarsi delle ipocrisie e aprirsi all'ignoto.

sabato 11 ottobre 2008

Il castello di S. Servolo e il Monte Carso

Oggi, una bellissima giornata autunnale (direi di fine estate) invitava ad approfittare per organizzare un'uscita; detto fatto, decido di salire al Castello di S. Servolo che, nonostante sia vicinissimo a Trieste, non ho mai visitato in quanto è in Slovenia e non ero mai riuscito a trovare la rotabile per arrivarci. Da quando le frontiere sono cadute è possibile giungervi a piedi dall'Italia attraverso un bel sentiero che parte da S. Dorligo della Valle (Dolina).
Parcheggio, quindi, la macchina nei pressi del cimitero del paese e, attraversata l'adiacente provinciale che collega Crogole a Prebenico, mi trovo di fronte ad uno spiazzo con cartelli turistici
e la sorgente Sgurenz (140 m. s.l.m.) la cui acqua proviene dall'altopiano di S. Servolo e che, secondo i locali, sarebbe dotata di misteriose proprietà benefiche. 
Rifornita la borraccia (non si sa mai) imbocco la carrareccia che sale decisa e, al primo bivio, tengo a destra seguendo le indicazioni per Socerb (San Servolo) su una pietra posta nel mezzo della biforcazione. 
Dopo poco siamo ad un altro bivio dove prendo a sinistra aiutato da altre indicazioni su un pino. 
La carrareccia si trasforma in sentiero e continuo a salire superando un cartello che indica l'approssimarsi del confine e, subito dopo, il cippo confinario; proseguo ora in territorio sloveno. Circondato da un bosco di carpini e roverelle, in breve sono in vista di una poderosa bastionata di calcare che incombe sul paesaggio; è il cosiddetto ciglione carsico sulla cui linea sommitale è arroccata la mia prima meta. Dopo trenta minuti di cammino esco dal bosco e il sentiero fa spazio all'asfalto del grazioso villaggio di Socreb; abbiamo oramai alle spalle il tratto più faticoso (che conviene affrontare con passo tranquillo per non esaurire subito la birra). Appena entrato in paese, sulla mia destra si aprono una serie di spettacolari panorami sull'intero golfo di Trieste e la piana di Zaule. 
Sulla sinistra in alto incombe, invece, la sagoma del castello in bianca pietra d'Istria. 
Subito dopo la chiesetta del 1648 dedicata a S. Servolo giro a sinistra, in corrispondenza di un'insegna che indica la direzione per raggiungere il ristorante ubicato nel castello, 
e mi fermo ad osservare il "kal", lo stagno dove, in passato, si abbeveravano le mucche; 
al mio avvicinarmi un nugolo di rane si rifugia in acqua. 
Superato lo stagno, con il maniero di fronte, imbocco una bella scalinata che in breve mi porta alla base del castello (436 m.). 
Ciò che è possibile ammirare oggi è quello che resta di un ben più ampio corpo di fabbrica che è stato protagonista di accesi e sanguinari scontri. 
Il panorama che si gode dal castello è ampissimo e questo giustifica qui l'edificazione di un'opera come questa.
Il nucleo originale fu quasi certamente una torre  costruita dagli Istriani nel IX secolo per avvistare gli spietati Ungari. Inglobato nella diocesi di Aquileia, nel 1295 fu ceduto al comune di Trieste e diventa protagonista nelle lotte per il controllo della produzione e commercio del sale tra l'Austria e Venezia. Fino ai primi anni del '500 il castello passa di mano più volte. Nel 1508 con l'istituzione della lega di Cambrai promossa dal Papa guerriero Giulio II i conflitti si fanno più accesi e vedono fronteggiarsi la Trieste imperiale e Muggia datasi alla Serenissima sempre per il controllo del sale. In quell'anno il vicino castello di Draga in Val Rosandra venne attaccato dai Triestini; a questo episodio seguì l'attacco dei Veneti a Trieste che dopo un prolungato assedio con numerose artiglierie riuscirono a impossessarsi del castello di S. Giusto non ancora ultimato. I triestini pagarono 20.000 ducati come pegno per la sconfitta. Il breve periodo di pace fu tormentato dallo scoppio di un'epidemia di peste e da un violento terremoto; nonostante ciò, il 3 ottobre del 1511 i Triestini agli ordini del Capitano Nicolò Rauber, fiancheggiati dai soldati imperiali di Cristoforo Frangipani, penetrano nella piana sottostante di Zaule con lo scopo di prendere tutte le fortezze venete e portare l'attacco finale a Muggia. Tutti i manieri difensivi caddero ma Muggia, difesa dal Capitano Giovanni Farra (il Bombizza), tenne duro fino all'arrivo, via mare, di alleati provenienti da Capodistria. L'assedio fu tolto e mentre facevano rientro a casa, i soldati triestini, di propria iniziativa, per evitare problemi in futuro, dal momento che erano in zona, attaccarono e rasero al suolo il castello di Moccò (oggi si chiamerebbe guerra preventiva). Con il castello di S. Servolo ora in mano triestina, i Capodistriani tentarono di corrompere il governatore austriaco con una grossa somma di denaro. Il governatore allora finse di accettare l'accordo ma avvisò la guarnigione triestina che, forte di un centinaio di soldati, attese i nemici nei pressi del castello; questi giungendo nottetempo non si accorsero della trappola e appena superato il ponte levatoio furono attaccati e massacrati. Nel 1521 Nicolò Rauber ottenne dall'Imperatore Carlo V la signoria di S. Servolo per la fedeltà mostrata alla corona. Nel 1529 i Capodistriani del Doge portano con successo un attacco alle saline di Zaule distruggendole ma non arrivarono al castello. Anche nel secolo successivo il maniero resta una roccaforte austriaca; il futuro Capitano cesareo di Trieste Benvenuto VI Petazzi acquista la signoria del castello, lo arma con due cannoni e chiama a difenderlo una guarnigione di temibili Uscocchi croati fuggiti da Croazia e Bosnia conquistate dai Turchi. Nel 1615 Venezia tenta ancora la conquista di S. Servolo con il provveditore Benedetto da Lezze ma il Petazzi ottenne una piena vittoria nella battaglia combattuta nei pressi delle saline. Non furono pochi i soldati di Venezia che, feriti dagli schioppi uscocchi, annegarono nei campi di sale allagati. L'anno seguente il nuovo provveditore Giovanni Belegno porta un nuovo attacco al castello questa volta con truppe albanesi che avanzano sin sotto le mura mettendo a fuoco le infrastrutture periferiche senza riuscire, però, a violarlo. Il castello non viene più interessato da eventi bellici. Negli anni successivi, cessata la guerra del sale, passa a vari acquirenti. Alla fine del 1700 un fulmine provoca un incendio che distrugge i tetti; l'incuria che segue lo trasforma in un rudere. Agli inizi del '900 viene restaurato e durante la Seconda Guerra Mondiale viene occupato dall'esercito jugoslavo e, considerato sito di importanza strategica, fu annesso allo stato slavo a seguito delle trattative di pace. Nel 2000 apre il ristorante all'interno della struttura. Quanta storia è passata davanti a queste mura.
Indugio volentieri nei dintorni del maniero; la giornata soleggiata e i colori autunnali sono un mix perfetto. Con l'immaginazione vedo le opposte fazioni che si affrontano nella piana tra Trieste e Muggia o sotto le mura del castello.
Arrivato a questa splendida meta, decido di proseguire alla volta del Monte Carso. Alle spalle del castello c'è un basso terrapieno dietro il quale un comodo sentiero si infila nel bosco in direzione nord; questo sentiero si sviluppa lungo il ciglione carsico con numerosi scorci sul paesaggio sottostante. Nei pressi di uno di questi belvedere noto una solitaria garitta militare abbandonata, uno dei tanti segni della trascorsa guerra fredda che in gran parte si è sviluppata su questa linea di confine. 
All'uscita del bosco, dieci minuti di cammino dal castello, incrocio una carrareccia che prendo verso sinistra. La strada procede molto piacevolmente per prati intervallati da cespugli di sommacco che in questa stagione si accendono dei colori del fuoco. 
Al primo incrocio piego a sinistra con il sentiero che procede in leggera discesa entrando nuovamente nel bosco. Al successivo incrocio siamo nuovamente sull'orlo del ciglione e prendo la direzione di destra. Il sentiero procede in leggera salita con i consueti bei panorami sulla sinistra. Procedo sempre dritto, ignorando una strada che proviene da destra e in breve accedo ad una radura che anticipa la vetta del Monte Carso. 
Da qui si lanciano i deltaplanisti.
La salita alla cima del Monte Carso è molto facile e breve; sulla sua vetta boscata (457 m.) è possibile osservare numerosi resti di strutture militari. 
Senza calcolare le soste al castello e ai vari belvedere, l'escursione fino a questo punto è durata un'ora e mezza.
Scendo dalla parte opposta alla ricerca del bivio che da l'accesso all'alta via Vertikala tracciata una trentina di anni fa dalla SPDT (Associazione Alpina Slovena di Trieste) e che collega con un unico percorso la Val Rosandra con il Monte Forno. L'unico indizio che segna questo bivio si trova una ventina di metri dopo la cima, sulla sinistra: un segno bianco-azzurro su un piccolo albero indica uno stretto passaggio tra la vegetazione infestante che in primavera ed estate rende molto difficoltosa la progressione su questo sentiero. Usando i bastoncini come machete avanzo in discesa con grande fatica; i numerosi segni azzurri non sempre sono visibili e un paio di volte sono dovuto tornare indietro alla ricerca della traccia perduta (fa tanto Indiana Jones). Questo strazio dura per circa un centinaio di metri; credo i peggiori cento metri di sentiero mai percorsi. Un cippo confinario mi indica il ritorno sul suolo italiano. 
Fortunatamente la vegetazione infestante termina lasciando spazio ad un sentiero panoramico che per ghiaioni perde rapidamente quota. Nel frattempo mi rendo conto di avere mani e braccia graffiate dai numerosi rovi. Procedo sempre in discesa con il sentiero che, dopo il cartello indicatore di distanza del confine di stato, volge a sinistra e diventa comodo e rilassante. Sulla destra incrocio la Vedetta di Crogole, una struttura semicircolare a quota 245 metri con bella vista e panchina che invita ad una breve sosta. 
Ascoltando gli ancora lontani rumori del traffico sottostante, solo ora mi rendo conto del silenzio che regna in questi boschi. Sul parapetto della vedetta una lucertola si crogiola immobile al sole. 
Riprendo a malincuore la discesa che dopo una decina di minuti mi porta ad un ponticello in legno che scavalca un ruscelletto che però in questa stagione è asciutto; si tratta della sorgente Maganjevec. Compiuti pochi passi sono arrivato al primo incrocio che avevo incontrato quando ho iniziato la salita per cui il percorso ad anello è oramai completato. Ancora qualche minuto di discesa e arrivo alla sorgente Sgurenz, inizio e termine di questa passeggiata che ha comportato due ore e mezza di camminata senza considerare le soste.
Dislivello: 317 m.
Difficoltà: E (fare molta attenzione all'inizio della via Vertikala).

2 commenti:

Cosimo ha detto...

Aggiungo una piccola cosa: dietro al castello c'è un sentiero che porta ad una chiesa posta dentro una grotta dove si narra vivesse San Servolo come Eremita.
La grotta fu anche rifugio durante la guerra e oggi, ogni domenica, vi si celebra la Santa messa.
Conviene farci un salto!

Trekker ha detto...

Grazie Cosimo. Hai perfettamente ragione.
Purtroppo durante la mia visita era chiusa e non ho avuto modo di visitarla per cui non ne ho parlato.
Un caro saluto.